“…ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 36)

54.841. Questo è, ad oggi, il numero delle persone detenute negli istituti di pena in Italia.
12.000.000 è, invece, il numero di detenuti nel mondo. Di questi, 361.466 si sono lasciati raggiungere da un messaggio d’Amore, da una “buona notizia”: il Vangelo. Hanno, cioè, accettato di intraprendere un viaggio, Il viaggio del prigioniero”, durante il quale hanno imparato a conoscere la figura di Gesù, la Sua identità, la Sua missione e la Sua chiamata, attraverso le pagine del Vangelo di Marco e la guida di oltre 8000 volontari cristiani.

A rendere possibile questo viaggio è stata la Prison Fellowship International, che da più di 40 anni lavora per offrire alle carceri di tutto il mondo dei programmi in grado di recuperare i detenuti, aiutare le loro famiglie e favorire la loro reintegrazione all’interno della società.

Intraprendere un viaggio rappresenta sempre un rischio, un’incognita rispetto a ciò che si potrà trovare lungo la strada, ancor prima di giungere a destinazione.
Il nostro viaggio è iniziato con la formazione ricevuta, prima a Milano e poi a Salerno, durante il mese di agosto, insieme all’ideatore del progetto, Stephen James, ma si è concretizzato solo una volta arrivati a Nairobi, il 17 settembre, nel corso di una settimana formativa svolta insieme ad altre 14 Nazioni provenienti da ogni parte del mondo.
La paura con la quale lo abbiamo intrapreso è la stessa che ciascuno, prima o poi, si ritrova ad affrontare quando il Signore lo chiama a lasciare le sue cose, a non voltarsi, ad andare nei villaggi da Lui indicati, con la consapevolezza che potrebbe accadere di ritrovarsi in acque tempestose, in terre straniere, di essere rifiutati. Eppure, ogni incontro autentico fa sorgere, in chi lo ha vissuto, il desiderio che anche altri, soprattutto gli ultimi, gli irrecuperabili, possano sentirsi rivolgere quelle stesse parole di salvezza che, prima, qualcun altro gli aveva rivolto, cambiando la sua vita per sempre.

Sin da subito, una volta arrivati in Kenya, abbiamo fatto esperienza della bellezza di essere preceduti e accompagnati dallo Spirito Santo: una scolaresca di bambini del luogo, incontrata per caso, ci ha accolto con grandi sorrisi, carezze e abbracci, come fossimo stati la cosa più bella e preziosa che avessero mai visto. Sapevamo che in quell’incontro c’era la benedizione di Dio sul nostro “sì” e sulle fatiche che la missione avrebbe richiesto.

Caratteristica sorprendente di questo progetto, emersa durante il confronto con i vari ministeri nazionali della Prison Fellowship presenti a Nairobi, è la capacità di mettere insieme culture diversee sistemi penitenziari differenti, riuscendo comunque a raggiungere, a prescindere dal contesto e in un clima ecumenico, i risultati sperati: muovere quei passi necessari per spezzare, una volta per tutte, il cerchio del crimine. Lo scopo, infatti, è offrire ai detenuti la possibilità di un cambiamento di cuore e di mente che possa, poi, portarli ad invertire la rotta che la loro vita aveva intrapreso, per scelta o per necessità. E c’è solo una persona capace di spezzare le catene del peccato che attanagliano la vita e impediscono di riconoscersi figli amati: Gesù, che per primo ha fatto esperienza della prigionia e dei sentimenti di paura, solitudine, abbandono.

Proprio come gli apostoli, il Viaggio del Prigioniero prevede che si entri in carcere a due a due, insieme, per essere segno della comunione e dell’unità che vengono da Dio, testimoniando la bellezza e la forza che possono derivare solo dall’amore fraterno. Ma dietro quei due fratelli c’è un’intera comunità di volontari che, con diversi servizi, partecipa a diffondere la Parola. Dalle persone che si impegnano a coinvolgere nuovi volontari, a quelle che mettono in comune i loro guadagni; da quelle che, nel silenzio del loro cuore, pregano per ciascuno dei detenuti senza averli mai incontrati, a quelle che offrono le loro abilità professionali. Ognuno è indispensabile e ciascuno può fare la differenza, mettendosi al servizio con ciò che ha, anche fosse solo sé stesso. I giorni a Nairobi sono stati fondamentali proprio perché ci hanno dimostrato l’importanza di lavorare insieme, come membra di un unico corpo, come Chiesa.

Una delle esperienze più formative di quei giorni è stata la visita al carcere di Nairobi, durante la quale è stato possibile partecipare alla prima delle otto sessioni in cui si articola il progetto.
Prima di entrare ci chiedevamo cosa avremmo visto, ipotizzavamo il degrado a cui avremmo assistito, forse, l’atteggiamento scontroso di qualche detenuto o delle guardie stesse. Eppure, laprima cosa che ci ha colpito è stata la loro accoglienza: ci aspettavano, non con diffidenza o sospetto, ma come si aspetta la pioggia dopo un lungo periodo di siccità. Ognuno di noi volontari apparteneva a una realtà del mondo diversa, ma in quel momento eravamo parte di un’unica cosa, di quell’unico corpo. Diverse erano le lingue e le culture, ma lì dentro sentivamo soltanto ciò che ciaccumunava: la chiamata al servizio.

È bastato un canto iniziale, fatto di due frasi You are wonderful, you are worthy, perché ogni paura o preoccupazione si sciogliesse, perché la distanza fisica che c’era tra noi e i detenuti venisse meno.
Gesù, mediante lo Spirito Santo, era in mezzo a noi e ci stava aspettando. Era nei loro occhi, sui loro volti, nelle loro storie, nelle loro paure, nelle loro speranze.
La sessione si è svolta in assoluta tranquillità, con la piena partecipazione dei detenuti che, sebbene vivessero la fede (o la mancanza di questa) in modo diverso gli uni dagli altri, si sono lasciaticoinvolgere dalle guide in un percorso — o meglio, viaggio — che li porterà a scoprire (o a riscoprire) che Gesù è venuto proprio per loro, per farsi conoscere da loro, per donare loro la Parola che salva e che apre una nuova via quando sembra non esserci alternativa.

Lo sforzo a cui ci chiama questa missione è quello di scendere dal nostro personale sicomoro, che ha permesso alla nostra vita di vedere Gesù, per andare incontro all’uomo, come chiede continuamente Papa Francesco, e metterci al suo servizio, per accoglierlo e farcene carico, divenendo noi stessi sicomori sui quali arrampicarsi per vedere il Messia, proclamando il Vangelo della salvezza.


E tu, cosa aspetti? C’è un fratello o una sorella che ha bisogno di te per risollevare il capo dai suoi fallimenti e dalle sue delusioni e riconoscere Gesù in mezzo alla folla che abita la sua vita.

Share This