Si può riassumere tutto un progetto sicomoro in un abbraccio: sicuramente no, ma comunque intanto cominciamo da lì.
Siamo all’ultimo incontro del progetto svolto a Torino, Le Vallette, tra giugno e settembre. La direzione ha concesso la partecipazione di alcuni familiari dei detenuti. Quindi un giorno speciale per molti di loro.
Gianni è un giovane che si è rovinato per la droga. Per procurarsela furti e rapine con conseguente arresto e alcuni anni di condanna. Durante il progetto si dichiara sconfortato perchè il suo comportamento aveva portato discordia in famiglia tanto che suo fratello se ne era andato, stanco delle liti dei genitori. Alla sessione finale di oggi erano presenti la mamma ed il fratello di Gianni. Lui ha l’infelice idea di presentarmeli. Prendo in disparte il fratello e gli chiedo di Gianni. Mi conferma che non ne vuol più sapere nulla perché troppe volte ha promesso cambiamenti per lasciare cadere tutto nel nulla. E infatti si vedeva da lontano il gelo fra di loro. Ma io so che Gianni è cambiato. Come tutti oggi legge la sua lettera, chiedendo scusa e perdono a tutti e specialmente al fratello. Inutile, uno girato a destra e l’altro a sinistra. Senza dirgli nulla, verso la fine dico che sarebbe bello sentire anche i familiari e naturalmente chiedo al fratello di Gianni di venire al microfono. Preso in contropiede, si sente obbligato ad alzarsi. Comincia a dire qualcosa sull’incontro e ne approfitto per fagli la domanda diretta: “e di Gianni che ci dici”! Malvolentieri conferma la sua delusione per le troppe promesse mancate, ma poi con un mezzo sorriso aggiunge: “sinceramente lo vedo un po’ cambiato. Forse vale la pena di dargli una nuova possibilità “. Gianni lo aspetta a braccia aperte e l’abbraccio dura a lungo come lungo è il tempo che passano dopo a parlare insieme. Speriamo bene e preghiamo per loro.
Troppo poco, allora continuo.
La direzione ha permesso la partecipazione dei detenuti partecipanti al progetto di 3 anni prima. Si presentano in 4. Gli altri nel frattempo sono ritornati liberi e sono in continuo contatto con noi, specialmente con Arcangelo. Fanno tutti la loro testimonianza, confermando tutte le conquiste che avevano raggiunto durante il progetto e anzi come quelle fossero la base dalla quale continuavano a crescere. Tra di loro c’è Mattia. Il suo progetto era stato molto duro perché duro era il suo reato. Se vi ricordate vi avevo detto come la madre, nel parlatorio, avesse visto la luce che si era riaccesa nei suoi occhi, la luce che aveva da ragazzo. Ho rivisto quegli occhi brillare e sono rimasto a bocca aperta sentendolo ricordare il suo cammino durante il progetto, sentendolo ricordare tutte le vittime e quanto gli avevano dato, sentendolo ricordare tutte le parole, tutte le impressioni che ci siamo scambiati. Adesso lui è un punto di riferimento per tutti i detenuti perché cura i loro rapporti on-line e lo fa con amore e per amore. Alla fine del progetto aveva promesso che la sua vita sarebbe stata orientata a fare il bene e lo sta confermando.
Troppo poco, allora continuo.
All’inizio di un incontro eravamo un po’ arrabbiati. Io, Arcangelo, Caterina, Anna, Aurora, Michela, Marco e Chiara eravamo da soli nell’aula. La guardia ci dice che quel giorno erano stati sbloccati i colloqui e che quindi tutti i detenuti erano in attesa del familiare o del collegamento on-line. Quando qualcuno terminava sarebbe venuto. Dal nulla spunta Francesco e decidiamo di cominciare con lui. Il motivo c’era. Francesco si era macchiato di omicidio. E’ un gran chiacchierone, ma ogni volta che arrivava sul fatto si bloccava e cambiava discorso. Anche stavolta parte dall’inizio. Dopo mezz’ora arriva al punto e…. prosegue. Stavolta non si blocca, ma si sblocca e riesce ad affrontare la realtà di quanto avvenuto. La paura di raccontarsi davanti ad altri penso sia insita in ciascuno di noi, figurarsi tra di loro. Dopo un po’, tra un andirivieni pazzesco, rientrano anche molti altri e possiamo completare regolarmente l’incontro. Per la precisione Francesco si è sbloccato con le parole, ma rimane ancora molta strada perché lui riesca ad accettare con la mente quanto avvenuto. Intanto è partito.
Troppo poco, allora continuo.
Per Angelo è la classica storia: giovane, droga, rapine, carcere. All’uscita con molta buona volontà prende la strada giusta: un buon lavoro e una ragazza con la quale metter su famiglia. Ma! Inevitabilmente sorgono i ma! Lui è un ex detenuto. Non è marchiato in fronte, ma è come se lo fosse. Per molti, troppi, vale il teorema: non può cambiare, prima o poi ci ricasca. Questo vale soprattutto per la famiglia di lei, che conseguentemente mette continui ostacoli al loro rapporto. D’altra parte lui, per seguire lei, entra a far parte dei testimoni di geova e allora è la sua famiglia che si ribella e non lo vuole più. Proprio quando il matrimonio sembrava vicino, i due muri eretti dalle famiglie riescono ad avere la meglio e va tutto a catafascio e conseguentemente va a catafascio anche la vita di Angelo: si ributta nella droga e pesantemente.
L’inevitabile conclusione: di nuovo in carcere.
Dopo il primo incontro ci dice che non tornerà più perché ci sono troppi riferimenti biblici e lui di religioni non ne vuol più sapere.
Ma Dio, quel Dio che lui rifiuta, vede e provvede. Le confidenze, durante la pausa sigaretta, e la testimonianza di una vittima permettono di individuare la cruna d’ago per entrare nel suo cuore e allora si apre un’autostrada.
Butta fuori tutti i suoi errori, tutte le sue sconfitte, tutti i suoi rancori verso un mondo che continua a giudicarlo. Guarda caso proprio dalle sue parole capisce che può ricominciare, proprio dalle cure e attenzioni delle vittime capisce che non tutti lo giudicano e condannano per partito preso, proprio dall’ambiente del sicomoro capisce che anche per lui può esserci una famiglia.
Ed il primo passo lo farà con Caterina, che lo accoglierà nella sua comunità.
Troppo poco, allora continuo.
Il papà di Marco portava spesso con sé il ragazzo nei suoi viaggi come autista e Marco si innamora di quel lavoro al punto di abbandonare le superiori per affiancare il padre nell’attività di conducente. Tutto bene con lavoro, moglie e figlio. Ma! Ancora una volta sorgono i ma!
Il padre è colpito da un infarto invalidante ed un grosso cliente non paga il suo debito. La ditta crolla, ma lui, con l’aiuto dei fratelli la riapre. Guarda caso poco dopo il più grosso cliente fallisce e quindi falliscono anche loro. La sua passione è così grande che prova a ripartire con l’aiuto di un fratello. Purtroppo i fornitori e gli autisti vogliono essere pagati in anticipo, mentre i clienti pagano a 120 giorni. I soldi mancano tanto che non riesce a pagare le bollette di casa con la moglie ancora incinta.
Disperato commette l’errore fatale: accetta di trasportare droga.
Con i soldi paga le bollette e raddrizza la ditta, ma i nodi vengono al pettine e lui viene arrestato. Il padre malato muore, nasce il secondo figlio, la sua famiglia è senza un sostegno e lui è in carcere, abbastanza per abbandonarsi alla disperazione. Da gesti estremi lo salva il cappellano. Il sicomoro è per lui un toccasana e, guarda caso, proprio alla fine, con l’art.21, gli viene concesso il lavoro esterno, guarda caso proprio come autista. E’ una persona rinata. Alla sessione finale non può essere presente proprio per il lavoro e allora ci manda una mail: “..mi farebbe piacere che la mia lettera sia letta per fare capire quello che mi ha dato il progetto ed essere in qualche modo lì con voi”.
Troppo poco, allora continuo. – No! Basta, non ne possiamo più. – Ok, allora mi fermo, anche perché ho una bellissima notizia da dare. Naturalmente non adesso, avete detto che siete stanchi. Sarà per la prossima volta.
Pierpaolo Trevisan