Il primo progetto Sicomoro al reparto dei protetti

Il primo progetto Sicomoro al reparto dei protetti

Oggi Gianni ha un impegno e quindi deve uscire per un’ora.
Poco dopo il suo rientro facciamo la solita pausa di dieci minuti durante la quale le vittime offrono a tutti i cioccolatini. Gianni viene subito da me: “Pierpaolo, mi puoi far vedere la lettera, indirizzata alla sua vittima, che Fabio ha appena letto”. “Certo”.
Mentre la cerco fra le altre lui continua: “Questa settimana ne abbiamo parlato a lungo assieme, per riuscire a trovare il modo migliore per esternare i suoi sentimenti. Poi lui l’ha scritta e ha piacere che io la legga”. Ma allora è vero, sta succedendo veramente, non è un sogno. Mentre gliela porgo la mia mente ritorna a mezz’ora prima. Proprio quando Fabio ha terminato di leggere la sua lettera, era il terzo o il quarto, comincia un’animata discussione alla quale partecipano tutti. “Se l’avessi saputo prima ti avrei aiutato, ma vedrai che adesso insieme qualcosa troveremo”. “E’ capitato anche a me, in settimana ne parliamo”. “Ma allora era per questo che stavi sempre isolato. Insieme possiamo risolvere il problema”. “Hai visto che buttando fuori tutto ti sei liberato del grosso peso che ti stava distruggendo, continuiamo”. I toni e gli argomenti erano questi. Stavano scoprendo che, abbattendo tutti i muri che in tanti anni avevano costruito attorno ai loro cuori, potevano tornare a vivere. La mia mente torna ancora più indietro, alla presentazione. La direzione e le educatrici del carcere di Torino ci avevano chiesto di attuare il progetto sicomoro nel reparto “sex offender”, termine usato per indicare le persone che hanno usato violenza verso le persone più deboli, donne e bambini. Sono anche chiamati “i protetti”, perché praticamente sono in un carcere dentro al carcere, isolati da tutti per evitare ritorsioni fisiche, isolati da tutti perché disprezzati da tutti, isolati da tutti perché considerati indegni del convivere sociale. Non era mai stato effettuato in Italia e raramente nel mondo Prison. Decidiamo di provare nella speranza di comprendere ed aiutare queste persone, grazie anche alla volontà delle vittime, che dovevano ripercorrere i momenti più bui della propria vita.

La presentazione, come poi il progetto, si svolge nel reparto. Ci arriviamo percorrendo lunghissimi corridoi. L’aspetto era sempre più trasandato e tale appariva anche il reparto e la stanza dell’incontro.
Entrano tutti a testa bassa e con lo sguardo sfuggente. Durante la spiegazione li osservo tutti attentamente e la sensazione era quella di trovarmi davanti alte mura di omertà personale. Decisi subito che quelle mura erano il principale ostacolo. Alla fine più di quaranta danno l’adesione e le educatrici ne scelgono dodici.
Alla fine del primo incontro comincio ad avere seri dubbi sulla validità della giustizia: di veramente colpevoli praticamente nessuno. Sì, ognuno qualcosa aveva fatto, ma sempre appena al di sopra della normale convivenza tra coniugi, tra genitori e figli, tra amanti, naturalmente a loro giudizio. Anche le vittime non si sono esposte, probabilmente per adeguarsi al clima generale. Per fortuna, già dal secondo incontro, le storie e le vite cominciano a prendere una forma concreta, pur nella crudezza e nell’asprezza dei fatti. Anche le vittime riescono a ricostruire le traversie e le violenze subite scavando nel buco profondo nel quale le avevano cacciate per non continuare a soffrire. A poco a poco i ristretti cominciano a rendersi conto del reale impatto causato dalle loro azioni e le vittime scoprono le persone che indirettamente hanno causato loro tanto dolore. Il confronto decollava tra fatti tremendi, pianti infiniti, commozione generale, cuori travolti, abbracci consolatori. Il progetto sembrava procedere bene, ma c’era ancora quello scoglio: ognuno pensava e parlava per se stesso! Ma ecco le lettere che vengono lette negli ultimi due incontri. Sinceramente non credevo ai miei orecchi. Era cambiata completamente la prospettiva: tutti i fatti venivano visti, narrati e commentati con gli occhi di chi subiva e i cuori cambiavano visivamente.
La discussione iniziata dopo la lettera di Fabio era il coronamento di tutto il progetto.
Per molti minuti non ho mosso muscolo. Avevo paura che una parola o un gesto potesse inavvertitamente interrompere l’atmosfera creatasi. Ma c’erano le colombe pasquali portate da Aurora e Caterina, le bibite, i cioccolatini e quindi con la bocca piena di dolci e il cuore pieno di gioia la festa poteva continuare. Alla fine, come sempre in cerchio mano nella mano, preghiamo con la sura coranica di Emanuele e l’ave Maria.

Pierpaolo

È l’inizio di un viaggio, il viaggio del Prigioniero!

È l’inizio di un viaggio, il viaggio del Prigioniero!

È l’inizio di un viaggio, il viaggio del Prigioniero!
Mi sembra di sentire i commenti:
“Che novità è?
Di che viaggio si tratta?
Dove andiamo?
Chi c’è con noi?
Quanto spendiamo?
Calma, una per una, ad ogni domanda la sua risposta.
Ma prima devo farvi una doverosa premessa: se ieri, foste stati con me e con altri amici, a Villa Borromeo, oggi sareste in grado di darvi le risposte alle domande che avete fatto.

Devo dirvi che l’incontro organizzato da Prison Fellowship Italia vedeva presenti persone di Cagli , di Rimini, di Cantiano, di Fossombrone, di Fano, di Senigallia e Ancona ed alcuni “coraggiosi” di Pesaro. Pochi, dal momento che si giocava in casa, ma buoni, perché hanno vinto la pigrizia, con la curiosità, e i visi quando ci siamo salutati dicevano chiaramente la soddisfazione per la scelta fatta!

E allora, bando alle ciance e guardiamo di cosa si tratta.
Prison parla ai detenuti, ma prima ancora parla e lavora con le persone che hanno deciso di donare anche solo una parola a colui che all’interno di una cella sconta una pena, grande o piccola che sia.
Parlare con un detenuti significa donare speranza ai tanti che la Società ha isolato, ma significa anche assicurare alla Società stessa il recupero del 70% dei carcerati. Può sembrare un sogno, è invece una realtà che Prison conosce bene e vuole continuare a sostenere.
Il viaggio: è un progetto che Prison ha già realizzato in Carceri di altre città ( e del mondo) che, oggi, propone a Pesaro e a Fossombrone.
Noi abbiamo una Casa Circondariale che ospita 230 carcerati, di cui 20 donne.
Devono scontare una pena, ma oggi non sappiamo come concretamente aiutarli.
Ci sono i volontari che impegnano le loro forze, i loro momenti liberi, anche le loro capacità economiche, per rendere più vivibile il loro “star li”.
Con i volontari i carcerati parlano, raccontano la loro vita prima del carcere, se vogliono accennano agli errori commessi, ma soprattutto sognano il domani, quando scontata la pena, potranno riabbracciare i loro cari , lavorare e “vivere”. Da uomini e donne dignitosamente recuperati.
Ma chi può aiutare il recupero? Sappiamo tutti quanto sia difficile il processo di rieducazione all’interno degli istituti penitenziari italiani.
Nella maggior parte delle carceri aspettano che il tempo passi. Ma voi, per un attimo, pensate solo a cosa passa dentro la mente di quelle persone, alla disperazione per la solitudine, alla sensazione di inutilità perché non riescono a dare un senso alla pena.
Il Viaggio del Prigioniero, risponde a tutto ciò, offrendo un percorso di cura attraverso un intervento strutturale che mette in primo piano il se’ e il racconto di un uomo che ha saputo accogliere, amare, perdonare.
Contribuisce a spezzare le catene che hanno portato al reato e che costituiscono la base per la sua reiterazione.
Trasmette valori universalmente accettati di cui si è fatta massima propaganda chi ha parlato di Gesù.
Permette di scoprire che non tutto è perduto e che la propria vita può avere un nuovo senso.
Il percorso prevede la lettura del Vangelo di Marco, attraverso una metodologia sperimentata con successo da Prison nei diversi Paesi del mondo.
Una parola può essere sufficiente a cambiare la vita ad un detenuto, facendogli iniziare un nuovo percorso di vita, permettendogli di riscattarsi.
Lo testimonia Stephen James, l’ideatore del Progetto che, da detenuto, un giorno rollando un foglio della Bibbia per farsi una sigaretta, ha fissato una parola che gli è entrata nel cuore.
Stephen ha cambiato vita, uscito dal carcere, si laurea in Sociologia ed ora lavora attivamente per dare una possibilità di riscatto a chi, come lui, è cresciuto ai margini della Società.
E noi, come usciremo da questo viaggio?
Oggi abbiamo una gran voglia di contribuire a trasformare la vita dei detenuti.
Vorremmo aiutarli a riconciliarsi con il mondo; vorremmo aiutare a ridurre la percentuale di reiterazione dei reati.
Noi desideriamo che i detenuti imparino a gestire sentimenti di angoscia e disperazione.
Vogliamo per questo servirci del Viaggio del Prigioniero perché questo metodo ha dato prova di saper trasformare la vita dei prigionieri mettendoli a contatto con la parola di Gesù.
Questo è l’obiettivo di Prison che, entrando nelle carceri, permette attraverso il viaggio del prigioniero, di conoscere nuovi valori, avviando un processo di cambiamento interiore.
Ecco quindi chiarito il mistero:
UN VIAGGIO con un obiettivo chiaro ed inequivocabile: la salvezza dell’uomo.
COMPAGNI DI VIAGGIO saranno tutti coloro che credono che la speranza in una vita migliore, sia riposta nella parola di Gesù.
IL COSTO DEL VIAGGIO: la disponibilità del nostro cuore e la nostra capacità di accogliere tutti coloro (carcerati soprattutto )che il Signore potrà mettere sulla nostra via.
La proposta di Prison non può lasciare indifferenti!

Facciamo un patto allora: noi vi terremo informati per il prossimo incontro, ma voi fate in modo di essere presenti.
Vorremmo tanto che anche la gente della nostra Città accettasse l’invito, perché il problema carcerario non è solo per noi che da volontari frequentiamo il carcere, ma per tutti, perché una Società che non si impegna a spezzare le catene del crimine, è una società destinata a morire.

Pesaro, 6 Maggio 2023
Anna Maria Lazzari

Il Viaggio del Prigioniero a Savigliano

Il Viaggio del Prigioniero a Savigliano

Savigliano, sabato 29 aprile 2023

25 fratelli e sorelle provenienti dal Piemonte e dalla Liguria, quasi tutti appartenenti al Rinnovamento nello Spirito Santo, si sono riuniti per ricevere la formazione a divenire facilitatori de “Il Viaggio del Prigioniero” presso le Suore della Sacra Famiglia di Savigliano.

L’orario 10-17 ha permesso di trasmettere il progetto seguendo tutte le slide, lasciando abbandonate spazio per le domande di chiarimento da parte dei partecipanti, e vivendo nel pomeriggio la simulazione del 2°incontro del “Viaggio del Prigioniero”.

Tanta partecipazione attiva, tanto interesse, tanta fame di approfondire il manuale!

Le formatrici Antonella Borgarello e Francesca Velardo hanno guidato i futuri facilitatori per realizzare il mandato di Matteo 25,36 che Gesù ha dato ai suoi discepoli: restituire la grazia ricevuta potendo guardate gli occhi dei “fratelli carcerati” e dire “Figlio di Dio vieni fuori!” per vedere Gesù anche nei loro occhi.

Veronica Pellegrin

Il viaggio del prigioniero fa tappa anche nel Lazio

Il viaggio del prigioniero fa tappa anche nel Lazio

Sabato 15 aprile 2023 nei locali della Parrocchia San Benedetto di Frosinone, si è tenuto il corso di formazione per facilitatori del progetto “Il viaggio del prigioniero” curato da Prison Fellowship Italia.
Nonostante il tempo per nulla primaverile e la fitta pioggia, che ci ha accompagnati all’arrivo e alla partenza, non ci siamo lasciati distogliere dal nostro intento e dal desiderio di partecipare al corso.
Eravamo, infatti, più di venti fratelli e sorelle del Rinnovamento nello Spirito Santo, e non solo,
provenienti dalle diverse Diocesi del Lazio.
In premessa, dobbiamo dire che questa tappa del “viaggio” nel Lazio ha ricevuto una particolare benedizione da parte di mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della CEI, il quale, lo scorso 28 marzo, ha fatto visita al carcere di Paliano, in provincia di Frosinone,
donando 8000 Bibbie che saranno regalate ai detenuti di cento Istituti penitenziari italiani impegnati in percorsi spirituali e formativi, tra i quali proprio “Il viaggio del prigioniero”.

Il corso per i facilitatori è stato sapientemente guidato da Francesco Di Turo, alla presenza di Paola Montello, vice presidente di Prison Fellowship Italia e si è svolto nell’intera mattinata di sabato.
L’incontro è iniziato con la lode e l’invocazione dello Spirito Santo ed è proseguito con l’illustrazione del progetto “Il viaggio del prigioniero” a partire dagli strumenti fondamentali: il manuale per i facilitatori e una guida allo studio del Vangelo di Marco che sarà consegnata a
ciascun detenuto partecipante. Il corso è composto da otto sessioni di due ore ciascuna, al termine delle quali è prevista una cerimonia di consegna dei diplomi ai partecipanti e potrà proseguire successivamente con un percorso di discepolato.

Sin da subito nella sala della Parrocchia San Benedetto che ci ospitava si è creato un clima di grande serenità e partecipazione attiva. Dalle parole di Francesco abbiamo compreso come sia fondamentale una buona formazione dei facilitatori (o guide) e il rispetto della metodologia prevista dal manuale, delle tematiche e degli standard del programma. Non si può improvvisare o personalizzare. Il progetto partito da qualche anno in alcuni penitenziari di vari Paesi del mondo, si sta diffondendo anche in Italia grazie a Prison Fellowship ed è già stato sperimentato in diverse carceri della penisola,
ottenendo risultati davvero incoraggianti.

Perché il viaggio del prigioniero in un carcere? Sembrerebbe un ossimoro, come si può viaggiare in un luogo chiuso? Di certo attraverso un viaggio interiore che prende le mosse dal primo verso del 1° Capitolo del Vangelo di Marco: “Qui comincia la storia meravigliosa di Gesù Cristo, Figlio di Dio”.
L’obiettivo principale del progetto, infatti, è quello di portare in carcere la “buona novella”, seguendo il viaggio di Gesù sulle orme del Vangelo di Marco per donare speranza a chi sembra averne persa e crede che la propria vita sia solo una lunga serie di fallimenti.
Il viaggio del prigioniero è, dunque, un percorso di evangelizzazione che aiuta i detenuti a guarire
le ferite dell’anima, ma è anche il cammino richiesto ad ogni cristiano per scoprire chi è Gesù,
perché è venuto, cosa vuole dire seguirlo.

Al termine della presentazione del corso, è emersa con forza l’importanza del ruolo della guida nell’annunciare il Vangelo con integrità, fedeltà ed umiltà e con la consapevolezza di saper distinguere sempre il proprio ruolo da quello di Dio.
E se intraprendere questo viaggio spaventa un po’ anche noi che abbiamo partecipato al corso, confidiamo in Dio…Lui farà la sua parte e noi la nostra.

Sandra Canicchio

Un viaggio sulle ali della Speranza

Un viaggio sulle ali della Speranza

Qui comincia la storia meravigliosa di Gesù Cristo, Figlio di Dio. È l’inizio del Vangelo di Marco nella traduzione ad opera di Prison Fellowship Italia, ed è anche l’inizio di un nuovo capitolo per l’Emilia-Romagna. Sabato 1 aprile 2023, un gruppo di fratelli e sorelle del Rinnovamento nello Spirito Santo provenienti da diverse diocesi della regione si è radunato presso la casa del cappellano della Casa Circondariale della Dozza di Bologna per vivere un intenso e dinamico corso di formazione per facilitatori all’interno delle carceri.

Dopo la preghiera iniziale di lode e invocazione, rimanendo nel clima di comunione creatosi, i due formatori, Francesco e Teresa, ci hanno guidati nel percorso, tra curiosità, commozione, desiderio di imparare e, soprattutto, tanta gioia e speranza.

Credo che una delle consapevolezze più grandi che abbiamo maturato sia la necessità di tornare bambini, afferrare quello sguardo puro, semplice e curioso e farlo di nuovo nostro; mettere da parte i saperi che abbiamo faticosamente acquisito nel tempo per abbracciare pienamente l’umiltà, quella umiltà che ebbe Gesù quando lavò i piedi ai suoi apostoli, quando lasciò che l’emorroissa toccasse il suo mantello, quando si fermò nella casa di Zaccheo. L’umiltà che non ci fa sentire migliori dei detenuti che andremo a evangelizzare solo perché siamo “dalla parte giusta” delle mura del carcere, ma che ci rende consapevoli che saremo noi stessi i primi ad uscire rinnovati da questa esperienza. Se Gesù stesso ha detto: “Anch’io, il Messia, non sono venuto qui per essere servito, ma per servire gli altri e per dare la mia vita in riscatto di molti!” (Mc 10, 45), come possiamo noi distogliere lo sguardo dalla sofferenza intorno a noi?

Come è stato ricordato durante il corso, molto spesso preghiamo senza sapere per cosa lodare o ringraziare Dio; rischiamo di fare diventare la lode scontata e appiattita, dandole il valore che attribuiamo alle suppellettili conservate nella credenza. Non vogliamo più cadere in questo errore, vogliamo impegnarci, essere intraprendenti fin dalla preghiera. L’opera che lo Spirito sta dipingendo in chi sarà chiamato ad andare nelle carceri deve essere fin da ora motivo di ringraziamento.

Don Luigi Ciotti, sacerdote vicino ai più deboli, agli emarginati e alle vittime di crimini, una volta disse che non basta più commuoversi, bisogna muoversi. Questo è il grande salto che dobbiamo compiere: non è il tempo di starsene in disparte a guardare inermi la società mentre si chiude su se stessa aspettando di annichilirsi; non servono le lamentele silenziose, le lacrime piante nella solitudine della propria camera, le amarezze condivise con nessuno se non con uno specchio; non possiamo permetterci di starcene nell’agiatezza delle nostre case, protetti dall’illusione di una sicurezza che ci siamo comodamente costruiti attorno per non vedere quello che realmente c’è al di fuori di noi. “Se qualcuno di voi vuole seguirmi, deve smettere di pensare a se stesso, per prendere la sua croce e seguirmi da vicino” (Mc 8, 34). È l’invito che Gesù rivolge ai suoi discepoli, a ciascuno di noi: liberarci da ciò ci paralizza, assumerci le nostre responsabilità, impegnarci ad essere cristiani non solo nelle parole, ma anche nei fatti.

Il percorso che Prison Fellowship propone ai detenuti è, in realtà, il medesimo cammino che noi tutti siamo chiamati a compiere ogni giorno. Il cambiamento che desideriamo tanto per il mondo deve necessariamente partire da noi. Iniziando il viaggio da tre semplici domande, sebbene non poi così scontate (Chi è Gesù? Perché è venuto? Cosa mi chiama a fare?), saremo in grado di portare ai detenuti la buona novella, che è prima di tutto un messaggio di speranza.

Valentina Dall’Asta

 

A Pasqua, portiamo a tavola la solidarietà

A Pasqua, portiamo a tavola la solidarietà

Mentre ci apprestiamo a vivere i giorni che precedono la Santa Pasqua, i volontari di Prison Fellowship Italia onlus e del Rinnovamento nello Spirito Santo della diocesi di Ariano Irpino Lacedonia hanno abbracciato la sofferenza di Cristo sul Calvario attraverso il volto dei 250 detenuti della Casa Circondariale “Pasquale Campanello”  di Ariano Irpino (AV). Ad aprire le porte dell’Istituto penitenziario ai nostri volontari la direttrice, Maria Rosaria Casaburo, la prima persona a volere questo Pranzo di Pasqua, il Comandante e gli Agenti penitenziari. «E’ importante e molto bello che il carcere non sia solo un luogo di tristezza – ha detto la direttrice – ma, in circostanze particolari, come la Pasqua, anche noi siamo pronti ad accogliere un giorno di festa».

Dunque una meravigliosa giornata di solidarietà, musica e sorrisi quella di lunedì 3 aprile, resa ancora più “gustosa” dal Pranzo stellato preparato con generosità, fin dal primo mattino, dallo chef stellato Domenico Iavarone di José Restaurant a Tenuta Villa Guerra a Torre del Greco (NA), e dallo chef Nunzio Carannante di Villa Orsini, a Mirabella Eclano (AV).

L’iniziativa, promossa dall’Associazione Rinnovamento nello Spirito Santo – Regione Campania, e Prison Fellowship Italia Onlus (PFIt), con il patrocinio del Ministero di Giustizia, ha avuto inizio alle ore 10.30 con il saluto di Marcella Reni, presidente dell’Associazione PFIt, da anni in prima linea con progetti a sostegno del mondo carcerario. «Questa iniziativa – ha testimoniato il presidente – è l’adempimento di ciò che i Padri costituenti hanno voluto nella Costituzione: all’art.27 infatti è scritto che “la pena deve tendere alla rieducazione”. Questa è la più vera e nobile faccia del carcere… Dobbiamo ringraziare molto chi lavora in questo carcere perché lo fa come dovrebbe essere fatto sempre e dovunque».

Prima di dare inizio allo spettacolo che ha preceduto il Pranzo, sono stati consegnati i diplomi a 7 detenuti che hanno da poco terminato il progetto “il Viaggio del prigioniero”. Un percorso in 8 tappe (attuato già in ben 660 carceri), durante il quale ai detenuti viene presentata la figura e la vita di Gesù, anche lui prigioniero, con l’obiettivo di risanare, attraverso l’esperienza di una sofferenza conosciuta, le loro vite. 

L’esibizione musicale del cantautore Luca Pugliese, artista eclettico di origine irpina, ha acceso gli entusiasmi di tutti i detenuti presenti nella sala polivalente della Casa Circondariale. Il cantautore, noto anche per aver ideato “Un’ora d’aria colorata” all’interno degli Istituti penitenziari, ha eseguito diversi brani, generando euforia tra i detenuti e un’insolita atmosfera di leggerezza. 

Tra le diverse testimonianze, quella di Bartolomeo Mercuri, presidente dell’Associazione “il Cenacolo”, attiva nel campo della solidarietà. Bartolomeo ha raccontato la sua esperienza in cella e come la detenzione sia stata all’origine della sua conversione. L’incontro con Gesù, uomo e prigioniero, diventa promessa di una sequela operativa, fatta di azioni concrete: decide di dedicare la sua vita per aiutare gli ultimi, i poveri, i sofferenti. Come per Bartolomeo, per molti detenuti la storia con Gesù è stata un’esperienza liberante: “Con Gesù ci si sente liberi nonostante le mura, le sbarre del carcere”.

Il saluto di don Roberto Di Chiana, cappellano del carcere, e del vescovo S.E. mons. Sergio Milillo, vescovo della Diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia sono stati una carezza al cuore dei detenuti, un attimo prima di degustare il Pranzo. L’attenzione si è quindi spostata sugli chef, sui 6 cuochi e sulle loro brigate, che hanno cucinato eccezionalmente i pasti per tutti i detenuti presenti nella struttura. Un menù che fa venire l’acquolina in bocca al solo pensiero: risotto ai funghi, ravioli alla genovese, un secondo di polpette, accompagnate da patate al forno e piselli. Le diverse portate sono state offerte dal ristorante di Villa Orsini e dallo chef stellato Domenico Iavarone. 

La giornata di festa si è così conclusa, come anticipazione di una Pasqua che è già preludio di ”cambiamento” e di nuove iniziative, con la Santa Messa celebrata da S.E. mons. Sergio Melillo. 

di Daniela Di Domenico