Prison Fellowship Italia nella 47a Conferenza Nazionale Animatori del RnS a Rimini

Prison Fellowship Italia nella 47a Conferenza Nazionale Animatori del RnS a Rimini

Prison Fellowship Italia è onorata di annunciare il suo coinvolgimento nella 47a Conferenza Nazionale Animatori del Rinnovamento dello Spirito, con un meeting dedicato che si terrà il 9 dicembre presso il Palacongressi di Rimini, via della Fiera 23.

L’evento avrà inizio alle 13.00 e proseguirà fino alle 16.30, offrendo una piattaforma unica per esplorare progetti significativi di riconciliazione e speranza all’interno delle carceri italiane.

Programma dell’Evento:

13.00 – 13.30 Pranzo al sacco conviviale Un momento informale per condividere esperienze e prepararsi spiritualmente per l’evento.

13.30 – 14.00 Presentazione dell’incontro e preghiera comunitaria Un inizio condiviso per unire gli animi dei partecipanti.

14.00 – 14.30 Presentazione “Progetto Sicomoro” Un progetto innovativo di giustizia riparativa che crea ponti tra detenuti e vittime, rompendo il ciclo del crimine.

14.30 – 15.00 Testimonianze Storie toccanti di trasformazione attraverso il coinvolgimento in progetti di Prison Fellowship Italia.

15.00 – 15.30 Presentazione del Progetto “Il Viaggio del Prigioniero” (VdP) Un viaggio di speranza all’interno delle carceri italiane, rafforzando la connessione tra i detenuti e la società.

15.30 – 15.40 Testimonianza sul VdP Un’occasione di ascoltare il potente impatto di questo progetto sulle vite dei partecipanti.

15.45  Relazione del Presidente Uno sguardo approfondito sui successi passati e le visioni future di Prison Fellowship Italia.

16.15 Conclusione e saluti finali Un momento per riflettere sull’importanza del lavoro svolto e per concludere la giornata con speranza e unità.

I partecipanti alla 47a Conferenza Nazionale Animatori sono invitati a partecipare a questo incontro straordinario che offre una prospettiva unica sui progetti di riconciliazione di Prison Fellowship Italia.

Coloro che non partecipano alla Conferenza Animatori sono invitati a confermare la loro partecipazione entro il 2 dicembre per ricevere il pass per accedere al Palacongressi.

Per ulteriori informazioni, contattare info@prisonfellowshipitalia.it

 

Inizia “il Viaggio del Prigioniero” ad Asti

Inizia “il Viaggio del Prigioniero” ad Asti

Siamo Maria Carmela e Silvana, e il 14 ottobre abbiamo iniziato questa bellissima esperienza de “Il Viaggio del Prigioniero” presso la Casa Circondariale di Asti.

All’ingresso, abbiamo avuto un piccolo inconveniente che ci ha impedito di portare con noi la chiavetta USB con i video. Ci siamo subito sentite smarrite, poiché i video avrebbero dovuto esserci di grande aiuto durante l’incontro. Il luogo che ci è stato assegnato è il teatro del carcere, che durante la settimana ospita le lezioni della scuola pubblica. Abbiamo trovato tutto l’equipaggiamento necessario al nostro lavoro. Al nostro arrivo nel teatro, c’erano già nove fratelli detenuti su dodici, che ci aspettavano con curiosità. Abbiamo iniziato l’incontro con una breve sessione di presentazioni e abbiamo consegnato a ciascuno un cartoncino su cui scrivere il proprio nome. Ci siamo presentate come sorelle che avrebbero “viaggiato” con loro in questo percorso di otto incontri con il solo scopo di presentargli la Persona di Gesù. Alla fine, sarebbero stati liberi di decidere se seguirlo o meno. I fratelli detenuti si sono dimostrati subito interessati e attenti. Solo un carcerato ha provato a sollevare obiezioni, ma la nostra rassicurazione nel dirgli che avrebbe trovato risposte alle sue domande durante gli incontri lo ha soddisfatto e lo ha convinto a continuare con pazienza.

Il primo incontro si è svolto molto bene, anche senza i video, ed è terminato con i ringraziamenti dei fratelli detenuti per la semplicità con cui li abbiamo guidati e per il nostro sorriso, che hanno notato essere sempre presente durante tutto l’incontro.

Tornando in auto, ci siamo rese conto che tutte le nostre ansie erano scomparse, e ci siamo sentite molto felici di portare avanti questo viaggio a favore di questi fratelli detenuti.

Sabato 21 ottobre, alle ore 9, siamo rientrate in carcere, e questa volta abbiamo potuto portare con noi la chiavetta USB contenente i video. Tutti i detenuti iscritti erano presenti e felici di incontrarci e lavorare con noi. Pasquale si è offerto di aiutarci ad attaccare i fogli lavagna. Questa volta abbiamo visto tutti i video, compresi quelli del primo incontro. I fratelli sono stati molto colpiti dalle testimonianze dei protagonisti che hanno ascoltato e visto. Tutti si sono impegnati molto nella comprensione dei versetti del Vangelo e nelle risposte alle domande. Hanno risposto con sincerità a tutti i lavori proposti. Il carcerato analfabeta è stato aiutato dai suoi compagni. Il gioco sull’identità da scoprire li ha coinvolti molto e ha fatto capire loro che prima di dire che Gesù non ci interessa, bisogna conoscerlo bene e avere tutte le informazioni su di Lui. Il clima durante gli incontri è di profondo rispetto tra di noi e tra i detenuti. Anche questa volta, i fratelli detenuti hanno detto che il tempo è trascorso troppo velocemente, e avrebbero voluto continuare ancora. Anche noi siamo uscite fiduciose e grate di poter vivere questa esperienza de “Il Viaggio del Prigioniero.”

Alla prossima testimonianza!

Maria Carmela Sciarrabone Silvana Vercelli

La Pecora Nera

La Pecora Nera

«La sconfitta e la gioia sono due facce della stessa medaglia, la vita umana. Da questa vita fragile e contradditoria parte la nostra storia che vuole essere storia di speranza. Speranza autentica». A parlare è Caterina Miracola, dirigente de La Pecora Nera società cooperativa sociale e vicepresidente dell’Associazione Itaca.

In un tempo così difficile a livello economico e sociale che cosa vi ha spinto a lavorare con i detenuti?

Innanzitutto Dio perché amare il prossimo come te stesso è uno dei dieci Comandamenti che vogliamo fare nostro. I detenuti sono gli ultimi, ma dietro al reato c’è sempre una persona e un vissuto. Anche in questo tempo di crisi siamo sospinti dalla Provvidenza che arriva sempre ad aiutarci a dare lavoro. Quel lavoro che restituisce dignità. È provato – come confermano le statistiche – che la recidiva, cioè il ritorno in carcere – che è al 70 per cento tra chi non lavora – scende al 2 per cento per chi ha un lavoro, molto spesso imparato in carcere. È per questo che, ad esempio, nella casa circondariale di Ivrea, in provincia di Torino, la nostra cooperativa ha avviato – grazie alla collaborazione di Direzione, Area Educativa e Polizia Penitenziaria – un’esperienza di lavoro nelle due serre dell’Istituto.

Perché proprio La Pecora Nera?

Il nome ci è stato suggerito da un’esperienza. Durante i tanti colloqui effettuati nelle carceri abbiamo sentito spesso risuonare la frase “Sono la pecora nera della mia famiglia”. Ecco perché La Pecora Nera. Ma infondo anche noi non ci siamo sentiti, almeno una volta, la pecora nera?

Che cosa fate nella concretezza?

Al momento la nostra piccola cooperativa sociale si occupa di coltivazione di orticole e frutta. A Biella, proprio all’inizio della pandemia Covid, quale segno di speranza, abbiamo scelto di aprire Bottega La Pecora Nera. È un punto vendita dei nostri prodotti, anche trasformati. Vendiamo inoltre altri generi alimentari con tipicità del Piemonte e d’Italia, di qualità elevata.

Abbiamo voluto creare un luogo bello, elegante, pulito e accogliente proprio per sottolineare che la vita brutta e perduta può compiere una virata e aprirsi al bello e buono. Tutti gli arredi li abbiamo fatti realizzare da artigiani del luogo per un gesto di attenzione, in un periodo difficile, al mondo del lavoro. Uno sguardo rivolto ai tanti che lavorano con sacrificio. Nei progetti della cooperativa c’è anche l’idea di aprirsi ad altre attività lavorative, ma dobbiamo fare i conti anche con le risorse finanziarie. Ma non mettiamo limiti alla Provvidenza.

La Pecora Nera è l’ultima nata di un progetto più grande. Lo vuol raccontare?

Certo. Tutto è nato trent’anni fa – più precisamente nel 1990 – da “quattro amici che volevano cambiare il mondo” come cantava Gino Paoli. Nasceva così l’Associazione Itaca, una realtà di volontariato di ispirazione francescana che inizialmente ha operato nel sostegno alle missioni in Africa e India. Dopo qualche anno è arrivata la consapevolezza che la “terra di missione” può essere anche la nostra, qui, accanto a casa, nella nostra casa. È iniziata così l’accoglienza. Itaca, organizzazione di volontariato, è oggi anche una comunità che vive del proprio operato e di Provvidenza. Per scelta non chiediamo rette per l’accoglienza. La nostra porta è aperta per chi arriva dalla strada o dal carcere con misure alternative alla pena. Proprio dall’esperienza di questa accoglienza è nata la consapevolezza che occorreva dare anche un’ulteriore possibilità, quella del lavoro.  Oggi i terreni agricoli adiacenti alla struttura sono utilizzati per progetti di inserimento lavorativo. Così è nata La Pecora Nera.

C’è davvero spazio per il recupero di una persona?

Ogni persona ha un percorso e un vissuto diverso, molto dipende dalla volontà e da quanto davvero c’è desiderio di cambiamento. Molto spesso spaventa lasciare la vita della strada e del carcere per vivere una vita nuova, diversa. Si va incontro a sensazioni ed emozioni che non si conoscono. A volte sono gesti semplici, della normalità, come stare seduti a tavola insieme, festeggiare un compleanno… a volte sono esperienze più complesse come riallacciare i contatti con i propri familiari… Tutte emozioni che la persona non conosce. Nel nostro impegno quotidiano cerchiamo, con gli occhi della fede in Gesù Cristo, di capire il comportamento della persona. I vissuti, sembra incredibile, ma alla fine sono sempre gli stessi. È mancanza di Amore.

Qual è la più grande difficoltà con cui vi trovate a dover fare i conti?

Possono essere tante, ma quella principale si verifica nel momento in cui ci troviamo davanti a persone che non vogliono cambiare la propria vita. Ti ritrovi così a doverli lasciare andare.  È un grande dolore, ma nulla si può contro la volontà della persona.

Che cosa vuol dire oggi aprire le porte a una persona che arriva dalla strada o dal carcere?

Vuol dire tanto. Vuol dire ogni volta costruire giorno dopo giorno. Molto spesso le persone devono ricominciare a imparare a vivere, a vivere una vita segnata dalla normalità. Cerchiamo di accompagnarle in questo itinerario bello, ma faticoso. Un cammino fatto di crescita e di cadute, di salite e poche discese. L’unico obiettivo è vederle felici.

Avete mai pensato: questa persona è irrecuperabile?

Non possiamo pensare: questa persona è irrecuperabile. Tutto dipende dal vissuto e dalla volontà di rimettersi in gioco, di cambiare la propria vita lasciando alle spalle tanti errori e dolori.

Quali sono le radici e le ragioni del vostro progetto?

Quello che ci spinge è la fede in Gesù Cristo servito nelle persone più in difficoltà. Per noi, quanto stiamo vivendo ha senso solo perché crediamo in un Vangelo che si fa carne e pane spezzato con i senza voce. Oggi, anche i detenuti. È fede all’opera.

 

“Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo” (Gal. 6,2)

“Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo” (Gal. 6,2)

Sabato 14 ottobre ore 08.30 tutti pronti davanti alla casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, conosciuta comunemente con il nome del quartiere periferico Vallette. Controllo documenti, stavolta facciamo in fretta è tutto in ordine; tappa al bar obbligatoria per un ottimo caffè, preparato da un ragazzo detenuto nigeriano che oramai conosce alcuni volontari e ci accoglie con un sorriso. Ore 09.00 siamo nel padiglione indicato, oggi inizia il Progetto Sicomoro.

Ad accoglierci una giovane educatrice che ci aiuta a modificare la lista dei ragazzi che si erano segnalati, cambiando 2 nominativi. Alle 09.30 dopo aver disposto le sedie in cerchio e tolto via il tavolo in mezzo alla stanza chiudiamo la porta e si inizia.

Non ci credo, c’è sempre di solito qualche intoppo, permessi, locali, ritardatari, no questa volta è ok. Già due settimane prima alla presentazione siamo rimasti stupiti, tra i ragazzi c’era Giuseppe, che ha già fatto il Progetto con noi nel 2019, il primo alle Vallette, si è laureato e adesso studia per la magistrale. Su nostro invito è stato lui a spiegare ogni cosa ai compagni, ogni cosa: giustizia riparativa, riservatezza, puntualità, nessun sconto di pena, base volontaria, costanza, ecc.. Tutto questo non può essere solo opera umana, Gesù vuole il progetto e se lo vuole Lui dobbiamo solo gioire.

Marco, è alla prima volta come facilitatore, introduce, spiega e coordina in modo preciso, senza tralasciare nulla. Si è già creato un clima di familiarità, rispetto e del giudizio nemmeno l’ombra.

Quando parla Sara, cade il gelo, racconta la sua vita, il grave fatto di sangue che l’ha colpita nove anni fa; racconta tutto dove e come è successo, il processo e le conseguenze per lei e per i suoi giovani figli.

Dopo di lei nessuno ha il coraggio di parlare, rompe il silenzio Vincenzo e dice che lui passa le giornate con tanti momenti di svago, gioca e ride. Dice ancora noi siamo fortunati rispetto a Sara. Tutti condividono, adesso i ragazzi non si lamentano più della loro condizione, ma fanno a gara per incoraggiare Sara.

Guardo l’orologio le 11.45, non è possibile il tempo è proprio volato dobbiamo andare. Marco dà i compiti per la settimana, leggere la storia di Zaccheo e scrivere le proprie riflessioni nei 5 cerchi posti sul retro della pagina.

Ancora un minuto per una preghiera finale, invitiamo tutti, per chi vuole, a recitare con noi un’Ave Maria. Sara e Vincenzo non se la sentono, chiedono scusa ma respingono l’invito hanno ancora tanto dolore dentro.  Sara si raccoglie sulla sedia e Vincenzo chiede scusa e sta per andare via, però incontra il sorriso di Aurora che gli tende la mano. Si ferma un istante dà la mano ad Aurora e a sua volta la tende a Sara che, dopo una breve esitazione l’afferra. Il gruppo recita insieme, mano nella mano, la preghiera alla Vergine.

Arrivano i carrelli del vitto, devono proprio andare via. Nooooo … questa settimana sarà davvero lunga da passare e non solo per i nostri dieci ragazzi, già ci mancano.

Arcangelo

Cosa vorrai diventare da grande?

Cosa vorrai diventare da grande?

Lo scorso 2 ottobre, alla Casa Circondariale Lorusso e Cotugno, ha avuto luogo l’incontro conclusivo dei due progetti Sicomoro svoltisi rispettivamente nei mesi di febbraio-marzo e maggio-giugno. Per la prima volta dall’inizio di questo lungo percorso, si sono ritrovati nella stessa stanza vittime, volontari, detenuti e familiari. La prima a prendere la parola è stata l’educatrice Eva Mele, che ha accolto e rasserenato le famiglie sulle condizioni dei propri cari e sull’aiuto che viene loro assicurato all’interno della struttura. Da quel momento in avanti, sono state le testimonianze dei ragazzi che hanno partecipato al progetto a riempire i cuori di gioia e gli occhi di lacrime. Ogni storia rivissuta con così tanto dolore è servita per far aprire gli occhi e rimpossessarsi della propria vita. Uno dei ragazzi, durante il proprio intervento, ha rivolto a tutti i presenti una domanda estremamente semplice, che quasi fa sorridere se rivolta a uomini ormai adulti: “Cosa vorrai diventare da grande?”. Di solito un quesito tale viene indirizzato ai più piccoli, ma non per questo motivo una persona che ormai grande lo è da tempo, non possa decidere di cercare in se stessa la risposta e diventare una persona diversa.

Durante questo viaggio abbiamo assistito al desiderio da parte di molti di rimettersi in gioco e ricominciare a studiare; tra questi, un ragazzo che ha ammesso più volte che fuori da quella struttura non avrebbe mai toccato libro. Abbiamo preso atto di come le persone siano cambiate, maturate e si siano intenerite ritrovandosi a piangere ascoltando le testimonianze degli altri. Ammettere ad alta voce quello che si è vissuto, a prescindere dalla posizione in cui ci si trovi, non è mai stato facile e alcuni hanno trovato il coraggio di farlo solo nell’ultimo incontro. Quanto manifestato da uno dei detenuti è vero: il dolore non è indirizzato solo alla persona che ha subito il torto, ma si propaga a macchia d’olio verso tutti coloro che, inevitabilmente, vengono coinvolti nel reato commesso come gli amici e i familiari sia delle vittime che di coloro che si trovano reclusi. Per questo motivo, quando a parlare sono stati i figli di alcuni detenuti, l’atmosfera si è fatta più pesante e il pianto liberatorio di molti ha alleggerito la situazione.

Anche questa volta, gli effetti del Sicomoro sono stati molto intensi. Nonostante a incontrarsi non siano le vittime con i propri carnefici, si riesce comunque a empatizzare il dolore degli altri e a portarlo sulle proprie spalle; allo stesso modo, pur non sentendo parlare i propri figli, molti hanno avvertito il loro dolore e sono riusciti a comprendere cosa hanno provato le persone che più amano. Il figlio di un solo uomo è diventato il figlio di tutti quando ha rivolto delle parole ricolme di amore nei confronti del padre, il suo punto di riferimento, che da un giorno all’altro è dovuto partire per questo “viaggio” lasciandolo da solo. Non c’è stato rancore nelle parole di questo ragazzo, né vergogna, ma solo affetto e speranza.

Durante il Sicomoro, diventare un gruppo coeso vuol dire esattamente questo: condividere la sofferenza altrui, ma anche i propri successi e il proprio amore, proprio come è accaduto durante l’incontro conclusivo quando, in modo orgoglioso, uno dei ragazzi del secondo gruppo ha voluto introdurre a tutti i presenti l’amore ritrovato, per lui estremamente importante e significativo.

Per ultimi sono intervenuti i familiari dei detenuti ed è qui che si è verificato un evento così straordinario da riuscire, da solo, a confermare l’importanza del Progetto Sicomoro. Gli effetti di questo “percorso” non si limitano a portare pace e serenità solo nel cuore di chi lo ha affrontato ma anche a tutte le persone che gli sono vicine. Durante una delle ultime testimonianze, la compagna di uno dei ragazzi detenuti è scoppiata in lacrime e, probabilmente spinta dal forte senso di accoglienza e condivisione, ha confessato di essere stata lei stessa una vittima e di non aver mai trovato il coraggio di confessarlo a nessuno se non al proprio compagno, dopo 35 anni dall’accaduto. Molte sono le persone che faticano ad ammettere o denunciare ciò che gli è capitato; continuano così a portarsi un enorme peso sul cuore per molti anni, se non per tutta la vita.

Il rapporto che si riesce a creare tra gli aderenti a questo progetto è estremamente forte e lo si percepisce anche da esterni: gli incontri tra detenuti e vittime diviene quel luogo sicuro di cui si ha bisogno per sentirsi liberi di aprirsi senza essere giudicati, senza avere paura di farlo. Il coraggio che ha avuto questa donna è un dono per tutti e soprattutto per lei che, per non rovinare la vita e la serenità delle persone che più amava, ha deciso di mentire a tutti e conservare quel dolore dentro per gran parte della sua vita. Adesso è pronta per accogliere anche lei il cambiamento; con molta probabilità, abbraccerà a breve questo percorso con l’associazione Prison Fellowship Italia portando la sua parola e la sua testimonianza ad altre persone che condividono il suo stesso dolore. L’amore e la forza che provengono da questo cammino sono come una cascata che inizialmente travolge tutto e tutti e poi trova la propria strada, raggiungendo tutti coloro che hanno bisogno di essere salvati e aiutati.

L’incontro si è concluso con una preghiera, tenendosi tutti per mano in un grande cerchio all’interno del teatro, e con tanti abbracci. Nonostante gli incontri siano terminati qui, per i partecipanti al progetto è appena cominciato il cammino verso una vita nuova. Dopo essere stati accolti e accompagnati per diversi mesi, ora è arrivato il loro momento per far tesoro di tutto quello che hanno vissuto e per cominciare a camminare con le proprie gambe.

 

Ilaria Lavia

A Rebibbia, scendiamo in campo per la pace! (2 edizione)

A Rebibbia, scendiamo in campo per la pace! (2 edizione)

Si è svolto per il secondo anno consecutivo, presso la Sez. femminile di Rebibbia, il 29 settembre scorso, l’evento “A Rebibbia, Scendiamo in campo per la pace”. Come per le più “sofferte” partite di calcio, in tanti, per due ore, hanno esultato e tifato le quattro squadre dell’incontro quadrangolare ospitato all’interno delle mura del carcere romano.

A sfidarsi, in un’amichevole di calcetto, le detenute dell’Atletico Diritti, gli operatori penitenziari e i numerosi ospiti sopraggiunti per l’occasione. Sulle loro magliette i colori delle diverse associazioni e società sportive che, insieme a Prison Fellowship Italia Onlus, promotrice dell’evento, si sono messe in gioco per lanciare, ancora una volta, un appello alla pace e all’unità tra i popoli. SS Lazio, So.Spe., Miti dello Sport, AS Roma Calcio a 5 femminile, Word Save World, Nazionale delle Suore e Pallanuoto SIS Roma: questi, per un giorno, i nomi della solidarietà a Rebibbia. Per ognuna di queste realtà, tanti ex campioni e atleti olimpici dello sport: Tommaso Rocchi, ex calciatore della Lazio e della Nazionale; Amaurys Perez, ex pallanuotista, campione del mondo a Shangai 2011 e attualmente allenatore SIS Roma femminile, insieme a Domitilla Picozzi, capitano della stessa squadra; le calciatrici della AS Roma calcio a 5: Sara Nardi, Giulia Di Giacomo, Fabiana Fabrizi, Giorgia Tarenzi, Martina Lecca, Alessia D’Aguanno e il capitano Ketti Bellon; Lucia Torresani, campionessa di fioretto; Bruno Miguel Mascarenhas Antunes, ex campione mondiale e medaglia olimpica canottaggio Atene 2004 e vice Presidente dell’Associazione Miti dello Sport; Valerio Vermiglio, campione mondiale di pallavolo e presidente Miti dello Sport; Emanuele Blandamura, campione europeo di pugilato; Roberto Meloni, judoka italiano medagliato bronzo ai Mondiali; Antonino Di Natale, Fiamme gialle judo. A giocare in campo, inoltre, la squadra femminile di calcio dell’Associazione So.Spe. capitanata da suor Paola D’Auria (nota religiosa tifosa della Lazio) e suor Regina Muscat, della “Nazionale delle Suore” (da un’idea straordinaria di Moreno Buccianti, ex calciatore e già fondatore, nel 2005, della Seleçao dei sacerdoti) che, come lo scorso anno, ha arbitrato il torneo.

A dare il calcio d’inizio la direttrice di Rebibbia femminile, la dott.ssa Nadia Fontana che, dopo aver ringraziato tutti gli ospiti presenti, ha sottolineato come lo sport sia importantissimo nel trasmettere valori come l’amicizia e la lealtà, ma soprattutto il rispetto della persona e delle regole, principi fondamentali per un percorso riabilitativo e per una società sana.

Marcella Reni, presidente dell’Associazione Prison Fellowship Italia (PFIt), nel saluto che ha preceduto il calcio d’inizio, ha voluto svelare simpaticamente la squadra per cui avrebbe tifato: quella dell’”eccellenza”, quella che da qualche anno ci accoglie e cioè il team di calcio delle ragazze di Rebibbia. Per loro, come per tutte le altre detenute che non sono potute intervenire alla giornata di festa, l’augurio di “non ritrovarci” insieme il prossimo anno; la vita – ha proseguito la dott.ssa Reni -, come anche la reclusione, sono partite importanti da giocare. «Oggi, su questo campo, “giocatevela bene”!». Ha poi ricordato che «le 136 Associazioni Prison Fellowship presenti in tutto il mondo sono state informate di questo “torneo di calcetto” e, con grande gioia e approvazione per questo evento, si augurano che vinca il migliore!».

Suor Paola D’Auria, responsabile dell’Associazione So.Spe, ha detto: «Conosco bene la realtà carceraria perché frequento il carcere romano maschile di Regina Coeli da ben 42 anni!». Ma vedere giocare queste ragazze in campo, per la pace, ha detto, «è davvero emozionante perché, rispetto all’ambiente maschile, esprimono tutta la loro voglia di fare squadra, di dare il meglio divertendosi e comunicando la bellezza di stare insieme per un obiettivo comune».

Valerio Vermiglio, presidente dell’Associazione “Miti dello Sport” ed ex campione mondiale della Nazionale di pallavolo, oltre ad aver giocato in campo con gli altri atleti dell’Associazione, ha detto di essere sempre disponibile a prendere parte a iniziative a sostegno degli ultimi e che legano lo sport a ideali indispensabili come la pace o l’inclusione. Lo stesso Vermiglio ha inoltre espresso la disponibilità a offrire corsi di varie discipline sportive all’interno del carcere.

L’ex campione mondiale di pallanuoto Amaurys Perez – della società SIS Roma -, in una delle brevi pause per consentire l’alternanza delle squadre del quadrangolare, ha invitato tutte le ragazze in campo per ballare qualche passo di salsa e strappare loro un sorriso. Ha poi dichiarato di essere da sempre sensibile a tematiche sociali e di essere stato lui stesso, in passato, un educatore nel carcere minorile di Tenerife (Spagna).

Ognuno, in modo diverso, ha testimoniato come, oltre i diversi colori dei propri club, oltre i diversi sport praticati, insieme si può fare squadra e raccontare al mondo una bellissima storia di collaborazione e amicizia all’insegna della pace.

Sport, musica e solidarietà sono stati senza dubbio i veri vincitori di questa insolita giornata di festa. Ciò nonostante, si è voluto premiare – con dei trofei donati dalla SS Lazio – l’impegno e la sportività di chi è sceso in campo: prima classificata la squadra della Polizia Penitenziaria; al secondo posto la squadra “mista” degli operatori (tre ragazze della So.Spe. di suor Paola, e 2 educatori e un infermiere di Rebibbia). Terzo posto per le ragazze dell’Atletico Diritti di Rebibbia, capitanate dall’educatrice Alessia Giuliani, e quarto posto per gli atleti dell’Associazione “Miti dello Sport”. Una coppa, infine, per “il miglior scarpino” in campo che è andato alla giovane e bravissima calciatrice di Rebibbia, Valeria.

Un ringraziamento speciale va a Moreno Buccianti e a suor Regina Muscat, della “Nazionale delle Suore” che da professionista ha arbitrato, per il secondo anno, l’intero torneo; all’ex calciatore della Lazio Tommaso Rocchi che ha presenziato il torneo e premiato la migliore calciatrice; a Fabrizio Del Prete, presidente dell’Associazione Word Save World; e al cantante Massimo Mattia, presentatore dell’evento. Grazie agli operatori dell’Area educativa e della Polizia Penitenziaria senza i quali non sarebbe possibile realizzare tali eventi. Rinnoviamo infine la nostra gratitudine alla dott.ssa Cristina Mezzaroma, presidente operativo della SS Lazio, e allo sponsor Bar La Licata e a un anonimo per aver offerto il buffet a conclusione del torneo, rendendo possibile un momento di convivialità e sorrisi con tutti i presenti.