da Amministratore | Nov 22, 2023 | Testimonianze sicomoro
Buongiorno a tutti, mi chiamo Roberto Cannavò e sono detenuto. Anzi, come dico spesso, sono un “diversamente libero” da 18 anni. Sto scontando la pena dell’ergastolo a causa di associazione mafiosa e omicidi. Sono un componente di questo Progetto Sicomoro e ringrazio la Direzione e tutta l’area rieducativa che mi ha permesso di poter partecipare a questi incontri. Dal Progetto Sicomoro ho ricevuto tanto sotto il profilo umano e ho acquisito maggior consapevolezza di ciò che ho causato con i miei atti criminali. Il mio pensiero, negli anni passati, era solo rivolto alle vittime da me uccise senza rendermi conto che, attorno alle vittime, ci sono i familiari, gli amici, e la società che subiscono danni emotivi e dolori che ho compreso solo attraverso le loro testimonianze, i loro occhi.
Partecipando agli incontri ho sentito giustamente la loro rabbia, il loro dolore, ma anche e soprattutto la loro compassione, il loro bisogno concreto di capire, attraverso noi, come può un uomo arrivare a uccidere. A mio giudizio questi incontri sono stati una terapia per attenuare la sofferenza, ma la cosa che mi ha colpito di più è stato il loro sostegno. Tutte le volte che mi hanno visto, sentito, “spoglio”, mentre ripercorrevo le miei esperienze negative, mi sono stati vicino, abbracciandomi e rincuorandomi con straordinaria affettuosità, come se alla fine la vittima fossi io. Mai avrei potuto pensare di trovare sostegno da persone che hanno subito lacerazioni interne da uomini indegni come me. Addirittura, negli ultimi incontri (a qualcuno sono mancato), da tutti quanti sono stato abbracciato e ho capito che questo abbraccio, oltre che nei nostri cuori, è una speranza concreta per un futuro migliore.
Per concludere, ho voluto dedicare due righe alla figlia di una vittima da me uccisa nel 1990. Proprio a lei scrivo:
«Non ricordo il tuo nome però ricordo il tuo viso dolce e pieno di vita, ma soprattutto le tue ultime parole che mi dicesti mentre andavo via da quel cortile dove giocavi con altre bimbe… Parole che superano ogni percezione o ragionamento umano: “Perché stai andando via? Rimani qui con me!”. Per due volte ripetesti questa frase e il mio cuore fu messo a nudo con i miei pensieri già proiettati verso l’uccisione del tuo papà. Ti prego, unitamente alla tua famiglia, di perdonarmi. Sappi che se oggi sono riuscito a esternarti tutto ciò, è anche grazie a persone che, come te, hanno subito la perdita di una persona cara.
Aiutami affinché possa rendermi utile per alleviare le nostre sofferenze».
da Amministratore | Nov 22, 2023 | Testimonianze sicomoro
In questo mio scritto, vorrei rispondere pubblicamente alla lettera di Nicoletta, una giovane ragazza calabrese a cui è stato ucciso il fratello:
“Cara Nicoletta, ho ascoltato la tua lettera attraverso la voce della nostra Marcella e ho pianto. L’ho riletta da solo nella mia cella e ho pianto. Da quando è cominciato il Progetto Sicomoro è stato un susseguirsi di emozioni. Avendo l’età di mia figlia, permettimi di chiamarti “angelo”. Sei il nostro angelo. Hai dato prova di quanto sia meravigliosa la vita: la tua umiltà, la tua semplicità, la tua sensibilità, hanno folgorato il mio cuore e ancora, a tratti, in me, nel buio più profondo causato dalla mia fede buddista, le tue parole hanno rappresentato uno spiraglio per far passare la luce. La tua saggezza, compassione e il tuo coraggio sono riusciti a farmi sentire un uomo anzi, con le tue parole mi sento utile. Grazie. La tua presenza è stata per me e per tutti noi seguita concretamente.
Questi nostri incontri hanno aperto un percorso di trasformazione, di sostegno e recupero veramente forte e difficilissimo. Da questa grandiosa esperienza siamo certi di poter riacquisire la pace interiore, la consapevolezza, la speranza nel futuro. Sono convinto che questa macchina del bene non si arresterà più; solo così il tuo, il nostro sogno si concretizzerà.
Spero di cuore che resteremo in contatto per continuare a sostenerci e consigliarci durante il nostro percorso di vita”.
da Amministratore | Nov 22, 2023 | Testimonianze sicomoro
L’amore per la famiglia, la riscoperta della dignità di essere uomo. Il Progetto Sicomoro è stata la rinascita di un detenuto.
In principio fu la strada, poi la camorra. Cominciai a “vivere” la strada a 12 anni, somigliandole sempre più: lei spoglia di una struttura sociale, io privo di qualsiasi punto di riferimento. Ben presto quella strada divenne terra di confine, oggetto di contesa; e io, cane sciolto, dovetti “scegliere” se soccombere o schierarmi. Nel 1978, a 17 anni, entrai organicamente a far parte della camorra. Plasmato e allevato alla cultura del malaffare, lo status di camorrista assunse i connotati del privilegio, alimentando in me l’illusione di essere uscito dall’emarginazione, di avercela fatta. Dal 1978 sono trascorsi 33 anni, e un biennio –‘89-‘91 – di follia, avendo partecipato alla commissione di molti delitti. Ma dal mio ultimo arresto nel ‘91, niente più nemici da combattere, né territori da difendere, ma un grande vuoto da colmare e un silenzio assordante a cui dare voce. È stato l’amore per la mia famiglia a salvarmi. Cercai di ritrovarmi negli occhi di mio padre e di mia madre, ma l’immagine che riflettevano non mi piaceva: non vedevo altra soluzione che farla finita, ma ciò avrebbe aggiunto altro dolore, e io avevo deciso di vivere. Quello che avevo fatto non aveva reso la mia vita migliore, allontanandomi dai miei cari. Decisi di seguire l’unica strada possibile: riprendermi me stesso e la mia dignità di uomo. Sapevo che non sarebbe stato facile tagliare i ponti con il passato, ma mai avrei immaginato quanto potesse bruciare la consapevolezza di quali brutalità mi ero macchiato? Quali indicibili sofferenze avevo contribuito a portare nella vita di genitori, figli, fratelli, sorelle? Il solo pensiero mi scatenava forti emicranie. Il Signore aveva deciso di darmi un’altra possibilità, mettendo sulla mia strada persone speciali che, assieme ai miei familiari, mi hanno sostenuto e accompagnato in questo viaggio difficile, fatto di riflessione e autocritica. Confessai tutti i delitti commessi, recidendo ogni legame con la criminalità e con la mia terra di origine. Ma non bastava: dovevo riconciliarmi con me stesso, perdonarmi prima di essere perdonato. Mi parve una follia. Dovevo, volevo continuare a lavorare su me stesso, ma in maniera diversa: avrei interrotto il silenzio portando la mia storia a testimonianza della indegnità della vita criminale; avrei messo a nudo le cicatrici e i sensi di colpa a nutrimento di chi avesse voluto ascoltare ed evitare di commettere i medesimi errori. La svolta è stata l’incontro con i familiari delle vittime del crimine organizzato nel Progetto Sicomoro di Prison Fellowship Italia, patrocinato dal ministero della Giustizia. Otto incontri tra detenuti e parenti di vittime di mafia: tra questi il signor Mario, a cui la criminalità ha ucciso il figlio e Nicoletta, che ha perso il fratello di 18 anni. Siamo stati posti gli uni dinanzi agli altri volontariamente, come se ci stessimo cercando da tanto tempo: da un lato noi – tra cui io, con il fardello dei miei 50 anni consumati dal tragico passato e dalla galera – dall’altro, loro, vittime innocenti. Tutti sapevamo che ci saremmo incontrati otto volte e che il tempo sarebbe stato tiranno; eppure per i primi due incontri non sono riuscito a dire nulla: dinanzi ai loro sguardi di dolore mi sono sentito a disagio. Avrei voluto scomparire, ma il loro desiderio di capire ha prevalso sulla mia vigliaccheria. Quando ho aperto il mio cuore loro hanno fatto lo stesso facendomi sentire nuovamente un uomo. Certo, a cospetto del loro dolore, un uomo piccolo piccolo. Spero che un giorno, come con Mario e Nicoletta, anche le persone a cui ho fatto direttamente del male possano maturare l’idea di perdonarmi. Io ho iniziato a farlo. La riconciliazione, se la si vuole davvero, può rappresentare la guarigione.
da Amministratore | Nov 16, 2023 | Testimonianze sicomoro
Sono Elena e nei mesi di febbraio e marzo 2023 ho fatto l’esperienza del Progetto Sicomoro, partecipando come vittima, nel carcere delle vallette a Torino per 7 settimane, ove, con l’aiuto di facilitatori, si incontrano e si mettono a confronto un gruppo di detenuti con alcune vittime.
Ero già stata altre volte a fare volontariato in carcere in occasione del Pranzo d’Amore a NATALE, ed era stata sempre una bella esperienza vedere le famiglie riunite per una bella giornata di festa. Questa volta è stato diverso perché abbiamo avuto modo di conoscerci ad ogni incontro sempre un po’ di più.
All’inizio avevo diverse emozioni: un po’ di timore, ma anche la gioia di poter entrare in carcere con Gesù, per incontrare questi fratelli, che hanno sbagliato e i fratelli/sorelle che hanno subito. Tutti hanno da raccontare storie di dolore, ma anche di rinascita, ci si accosta alle loro vite con delicatezza, con amore e senza pregiudizi.
Spesso i colpevoli sono a loro volta anche vittime e quasi sempre schiavi da dipendenze (alcol, droga, sesso) e da povertà. Già al terzo incontro non pensavo più a me ma a tutti gli amici del gruppo, tutti: detenuti, vittime e facilitatori.
Ad alcuni di loro mi sono particolarmente affezionata, li ho visti cambiare, è cambiato il loro sguardo, hanno cominciato a prendere coscienza del male fatto ed è cresciuta la consapevolezza che se non si può rimediare al male commesso, si può però decidere di cambiare strada per non ripetere più gli stessi errori, si può rinascere e cercare di perdonare, anche se stessi.
Ogni incontro è stato molto atteso, felici di rivederci per la possibilità di confronto. Ascoltare le vittime, vedere le loro lacrime, la loro sofferenza, le cicatrici nella loro anima, ha fatto prendere coscienza del reato e delle sue conseguenze.
Ma anche il bene ha le sue conseguenze, e abbiamo iniziato a vederne i frutti: negli ultimi incontri hanno scritto lettere per chiedere scusa alle loro famiglie e alle loro vittime. È stato molto commovente, ognuno di noi è stato arricchito. Se ci sarà permesso andremo ancora periodicamente a trovarli. Per qualcuno di loro si sono aperte delle strade, come entrare in comunità per poter lavorare fuori dal carcere. È nata una speranza con un sapore nuovo di rinascita.