Un sabato qualunque al Sicomoro? Quando il fallimento si trasforma in grazia

Un sabato (stra)ordinario con il Progetto Sicomoro

Di Pierpaolo Trevisan, volontario PF Italia

Ore 4:00 del mattino.
Sembra un sabato come tanti per il Progetto Sicomoro: sveglia presto, colazione al volo e quattro ore di automobile per raggiungere puntuale il carcere “Le Vallette” di Torino. Ad aspettarmi ci sono Arcangelo, Chiara e Marco, insieme al gruppo delle vittime coinvolte nel percorso.

Ma questa volta qualcosa è diverso.

Sirene, telecamere e… imprevisti

Poco prima di arrivare, vengo superato da due furgoni della polizia penitenziaria a sirene spiegate, scortati da motociclisti della stradale. Non è mai un buon segno. Al mio arrivo, Marco mi informa che due vittime non potranno essere presenti per motivi personali.

All’interno del carcere, il caos: camion, attrezzature, personale in continuo movimento. Scopriamo che il regista Paolo Sorrentino sta girando alcune scene del suo prossimo film. A complicare ulteriormente le cose, durante la notte si è verificato un episodio che ha portato al trasferimento urgente di una decina di detenuti.

Risultato? Impossibile entrare nel reparto. Ci chiedono di ripassare “tra un’ora”. Come se fossimo in piazza per un caffè.

Cambio di programma: le relazioni aprono le porte

Decidiamo di tentare in un reparto vicino, dove avevamo concluso da poco un ciclo. Grazie ai permessi ottenuti da Arcangelo, ci lasciano entrare. La sensazione? Che ci stessero aspettando.

Il primo a venirmi incontro è Giovanni (nome di fantasia). Mi prende sottobraccio e mi accompagna a passeggio nel reparto. Dopo i convenevoli, si apre in un racconto profondo: dalla malavita al legame profondo con la sua compagna. Nei suoi occhi lucidi, il segno di un uomo che rilegge la propria vita, desideroso di una seconda possibilità.

Poi arriva Mauro, prossimo alla libertà. È pragmatico, pensa al futuro, alla sua famiglia, a come trovare un lavoro dignitoso che gli garantisca anche una pensione. Ragioniamo insieme su alcune alternative.

Intanto, anche Arcangelo, Chiara e Marco si confrontano con altri detenuti. Dopo un’ora, tentiamo nuovamente di accedere al reparto originario. Niente da fare.

“Pierpaolo, se non esco… faccio un gesto clamoroso”

Ci spostiamo in un altro reparto. Anche qui troviamo accoglienza e disponibilità. Ci danno un’aula e fanno circolare la voce: il Progetto Sicomoro è tornato.

Arriva Francesco (nome di fantasia), visibilmente scosso:

“Pierpaolo, se non riesco ad uscire a breve… faccio un gesto clamoroso.”
Parliamo a lungo, con calma. Ritrova un minimo di serenità. Poi, con grande dignità, racconta il progetto Sicomoro ai nuovi detenuti presenti. Le sue parole toccano tutti. Alcuni decidono subito di partecipare.

Il suo volto si distende. L’abbraccio finale è sincero. Ma so che avrà bisogno di preghiere e sostegno.

Alla fine, nessuna sessione. Ma tante porte aperte

Torniamo al reparto iniziale: ancora chiuso. Non sappiamo nemmeno se i nostri partecipanti siano stati tra i trasferiti. Lo scopriremo nei prossimi giorni.

È tardi. Ognuno torna a casa. Ma il pensiero della “sessione non fatta” continua a tormentarmi. Così, decido di telefonare a Marcella. Le racconto tutto.

E lei? Si mette a ridere. Di cuore.

“Pier, non pensi che tutto questo sia accaduto per permettervi di avere quei colloqui utili, lenitivi, balsamici?”

Rido anche io. Forse ha ragione.

Alle 16 spengo il motore davanti casa. E penso:

“Ma allora… il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?”

Il Sicomoro: molto più di un programma

Giornate come questa ci ricordano che le relazioni umane valgono più di qualsiasi programma. Anche quando sembra che tutto stia andando storto, è proprio lì che accadono i veri miracoli: in un gesto, una parola, uno sguardo che accende la speranza.

Scopri cos’è il Progetto Sicomoro: un percorso di consapevolezza che unisce detenuti e vittime nel segno della responsabilità e della trasformazione.

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Contattaci o scrivi a info@prisonfellowshipitalia.it

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