Celebrando la Risurrezione: Pranzo di Pasqua insieme

Celebrando la Risurrezione: Pranzo di Pasqua insieme

Lunedì 3 aprile, presso la Casa Circondariale “Pasquale Campanello” di Ariano Irpino (AV), si svolgerà per la prima volta l’evento di solidarietà “Celebrando la Risurrezione: Pranzo di Pasqua insieme!”. Promossa dall’Associazione Rinnovamento nello Spirito Santo – Regione Campania e Prison Fellowship Italia Onlus, con il patrocinio del Ministero di Giustizia, l’iniziativa intende dare (dopo gli ormai “consolidati” Pranzi di Natale negli Istituti penitenziari italiani), un respiro comunitario e solidale anche alla Santa Pasqua, per centinaia di fratelli ristretti che vivono la detenzione. Gli ospiti d’onore saranno proprio i detenuti e le loro famiglie, ma anche le vittime di reato e i loro familiari che siederanno assieme a pranzo per gustare piatti gourmet preparati da chef di eccezione. A servire le diverse portate, i volontari di Prison Fellowship Italia Onlus e del Rinnovamento nello Spirito Santo, ma anche personaggi e volti noti del mondo dello spettacolo. Un’occasione, nel tempo pasquale, per portare gioia, speranza e, soprattutto, quell’abbraccio capace di ispirare una rinnovata fiducia nel futuro e nella possibilità di diventare persone migliori. Gli chef che metteranno a disposizione la loro arte culinaria per 250 detenuti saranno lo chef stellato Domenico Iavarone di José Restaurant a Tenuta Villa Guerra a Torre del Greco (NA), e Nunzio Carannante, chef di Villa Orsini, a Mirabella Eclano (AV). Con noi ci saranno anche il Maestro panificatore Carlo di Cristo, il cantautore e inventore dell'”Ora d’aria colorata” (tour musicale per i detenuti delle Carceri italiane) Luca Pugliese e il comico (da Zelig, Striscia La Notizia e il Bagaglino) Enzo Costanza che si esibirà in uno spettacolo di cabaret e imitazioni. La testimonianza di Bartolomeo Mercuri, Presidente dell’Associazione “il Cenacolo”, arricchirà la giornata di solidarietà a sostegno delle persone in difficoltà. L’evento si concluderà con la Santa Messa presieduta dal Vescovo di Ariano Irpino Lacedonia Mons. Sergio Melillo, promotore entusiasta dell’iniziativa insieme al cappellano della casa circondariale Don Roberto Di Chiara. Anche le diverse comunità parrocchiali locali sostengono l’iniziativa. Come per tutti gli eventi promossi dalle Associazioni suddette, la finalità è quella di sensibilizzare la comunità civile all’incontro con gli ultimi per eccellenza: i detenuti, al fine di provare a “spezzare il ciclo del crimine”.

La festa del papà nel carcere di Ariano Irpino

La festa del papà nel carcere di Ariano Irpino

Disegnano l’amore su fogli di carta, esprimono desideri, sorridono, giocano e si abbracciano con gioia. Accade nel carcere Campanello di Ariano Irpino nel giorno della festa del papà. Non solo sbarre. Per figli e mogli è stato un giorno speciale, carico di emozioni. Un evento unico nella storia, quello promosso nella casa circondariale arianese. E’ un altro sogno che si concretizza grazie alla spinta e determinazione della direttrice Maria Rosaria Casaburo affiancata dal suo validissimo team educativo.

“E’ stata la festa di tutti i papà, dei detenuti ma anche dei poliziotti che hanno rinunciato a stare a casa con le proprie famiglie, pur di essere presenti in carcere e consentirci di poter realizzare una iniziativa del genere.

“Il nostro lavoro non conosce soste, anche un giorno di festa così importante, merita di essere valorizzato e non rappresenta per noi alcun peso stare qui, lontano dai nostri affetti.

Tutto è partito da una semplice chiacchierata. E la cosa più bella e significativa è che abbiamo avuto la presenza di volontari persino da Padova, Roma. Ed è la dimostrazione questa che il carcere unisce in una maniera costruttiva, dove ci sono idee, progetti, entusiasmo, per far si che il momento della carcerazione sia davvero di riflessione e non di abbandono.”

Una esplosione di gioia ed entusiasmo si è avuta grazie alla presenza dei volontari delle associazioni Rinnovamento nello Spirito Santo e Prison Fellowship Italia.

Il Rinnovamento nello Spirito Santo nella realtà diocesana di Ariano Irpino risponde alla chiamata di costituire gruppi e comunità di fedeli che con entusismo vivono la dimensione missionaria verso gli ultimi e gli emarginati: poveri, gli ammalati ed in particolare i detenuti. La missione fondamentale dell’associazione Prison Fellowship Italia è quella di trasformare la vita dei carcerati, delle loro famiglie e delle vittime attraverso una rete globale di soci e volontari.

“Rompere il circolo del crimine e risanare vite in tutto il mondo attraverso l’amore di Gesù. I nostri valori sono una parte essenziale del nostro servizio alla comunità civile, ma anche ai carcerati, alle loro famiglie e alle vittime a cui i nostri programmi sono rivolti.  Prison Fellowship International è nata dall’esperienza di Charles Colson, ex braccio destro del presidente Richard Nixon. Condannato per crimini connessi allo scandalo del Watergate, Colson ha scontato sette mesi in carcere. Durante quel periodo, ha visto e vissuto la differenza che la fede in Gesù fa nella vita delle persone. Si convinse che la vera soluzione al crimine/reato si possa trovare attraverso un rinnovamento spirituale. Una volta tornato in libertà, Colson aveva un nuovo obiettivo nella sua vita: raggiungere e aprire un dialogo con gli uomini e le donne dietro le sbarre e dare loro l’opportunità di cambiare le loro vite attraverso Cristo.

Siamo la più grande associazione di ministeri nazionali cristiani che operano nel campo della giustizia criminale. La leadership straniera e i fondi locali sono alla base di ognuno dei nostri ministeri nazionali. Questa presenza alle radici ci permette di assistere i carcerati e le loro famiglie secondo la loro cultura. Il cuore del nostro ministero sono i volontari, che donano il loro tempo in modo generoso e attivo.”

Il viaggio in una realtà scomoda

Il viaggio in una realtà scomoda

Pesaro, apre gli occhi e il cuore su una realtà scomoda:

IL CARCERE

Qualcuno penserà: con tutte le cose tristi che  l’oggi ci offre, mancavate voi che certamente non riuscirete a togliere l’amarezza, le delusioni che la società giornalmente e abbondantemente ci regala!

Ma noi, pesaresi e cristiani che giornalmente, senza illusioni, guardiamo con  speranza al domani, abbiamo chiesto ad Amici veri di aiutarci a guardare oltre le apparenze per farci vedere che, basta fidarsi di Lui, per scoprire il mondo, per guardare il futuro con un’altra prospettiva.

 

Questo, oggi è avvenuto!

 

Nella Sala Rossa del Comune di Pesaro, la Presidente di Prison fellowship Italia MARCELLA CLARA RENI si è incontrata con i volontari che operano giornalmente nella Casa Circondariale di Villa Fastiggi. All’incontro sono presenti oltre all’Assessore Luca Pandolfi, i rappresentanti di alcune Cooperative Sociali e diversi cittadini.

La curiosità ci aveva portato lì; ci eravamo chiesti cosa queste persone potessero dirci che noi non sapessimo già!

Ci volevano forse evidenziare le carenze delle nostre strutture carcerarie?

Delle difficoltà di impegnarsi nella rieducazione delle persone detenute?

Se questa era la loro intenzione, allora dovevamo parlare noi, perché veramente avremmo avuto sufficienti argomenti per trascorrere una serata insieme.

Ma, nè Marcella, nè i suoi collaboratori erano lì per questo!

Volevano invece raccontarci la loro esperienza di CURIOSITÀ iniziale, di INCREDULITÀ successiva, di AMORE e di  DESIDERIO di condivisione poi.

MARCELLA, un fiume in piena, ti travolge, ti prende per mano e non ti dice “credi, è così” ma ti guarda con il sorriso sulle labbra, con gli occhi che brillano per il momento che stiamo vivendo insieme, ti racconta la sua esperienza che parte occasionalmente dalla sua attività di Notaio!

Andiamo avanti e scopriamo come la sua esperienza sia uguale alla nostra.

Anche io, ad esempio, mi sono affacciata in un mondo che non conoscevo veramente ma di cui avevo sentito tanto parlare!

Anch’io, come Marcella e probabilmente come tanti di voi, pensando alle Carceri, dicevo:

Beh, è vero, lì dentro ci sono “persone” non cose, ma sono persone che hanno fatto errori (più o meno grandi) ma errori e allora…devono pagare!  Non devono essere scusati!

Come siamo duri, come ci sentiamo Giudici infallibili, davanti agli errori degli altri, ma come diventiamo possibilisti, garantisti pensando ai nostri sempre “piccoli” errori!

Superata la diffidenza iniziale subentra la curiosità  di vedere: cosa può capitarmi? Avrò perso un pò di tempo ma alla fine sono sicura di aver ragione: non bisogna essere buoni e scusare gli errori fatti!

Marcella, sapessi come ero agitata quando per la prima volta ho varcato la soglia della Casa Circondariale di Villa Fastiggi!

Ma come sono felice oggi, per averlo fatto!

Ho incontrato uomini e donne come noi che davanti ai problemi hanno reagito in modo sbagliato, ma nessuno aveva in mente che, magari attraverso il viaggio del Prigioniero, ci potesse essere una soluzione felice.

Sarebbe lungo e inopportuno scendere nei particolari della esperienza a cui mi riferisco ma sarebbe utile a ciascuno di noi conoscerla.

Ecco perché ho trovato illuminante l’incontro con PRISON FELLOWSHIP ITALIA

Ascoltare le cose veramente capitate, conoscere i risultati incredibili raggiunti, apre gli occhi, il cuore e finalmente la mente ragiona!

Vorrei dire a tutti:

a PRISON per prima!

Tornate a Pesaro, continuate a parlare della vostra esperienza, la vostra testimonianza potrà solo annullare i dubbi che ognuno ha.

Ma  VOI  CHE  LEGGETE, CHE COME ME CERCATE CERTEZZE, RISPONDETE ALL’INVITO CHE CERTAMENTE VERRA’ RIVOLTO A TUTTI.

Venite ad ascoltare e a chiedere perché  come me e come gli altri volontari anche voi

capirete la necessità’ di riconoscere e rispettare la dignità delle persone ospitate nelle carceri; di come il recupero di questi fratelli (cristiani, mussulmani, protestanti , testimoni di Geova) sarà possibile attraverso i progetti che Prison porta coraggiosamente avanti.

Con questo invito rivolto a tutti gli uomini di buona volontà ci lasciamo, utilizzando le parole che Gesù attraverso il Vangelo di Matteo dice  a ciascuno di noi:

“Ero in carcere e siete venuti a visitarmi…ogni volta che avrete fatto questo ad uno solo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me!”

 

Anna Maria Lazzari

Un nuovo viaggio, il viaggio del prigioniero!

Un nuovo viaggio, il viaggio del prigioniero!

Mercoledì 15 febbraio 2023 un gruppo di cristiani si è riunito a Santa Teresa, a Rossano Calabro, per un corso di formazione per facilitatori all’interno delle carceri. Il pomeriggio è iniziato con un momento di preghiera chiedendo al Signore di liberare la mente ed il cuore dalla nostra quotidianità che tante volte ci pesa poiché viviamo una vita frenetica e, una volta liberati noi, abbiamo chiesto a Dio di essere i liberanti dei nostri fratelli. Solo se siamo liberi noi saremo capaci di amare l’altro nelle sue fragilità e nei suoi limiti, di stimarlo e di sostenerlo, ed insieme camminare per fare cose straordinarie. Francesco, la nostra guida, comincia facendoci conoscere la Prison Fellowship International, la più grande organizzazione cristiana per detenuti, ex detenuti e per le loro famiglie, con lo scopo di spezzare il crimine. Ci ha raccontato di come è nata in Italia, definendola come la “costola” del Rinnovamento nello Spirito Santo. E ancora ci ha presentato alcuni dei progetti della Prison: “Il progetto sicomoro”, “Genitori dentro e fuori”, ” Camp for kids”, “L’altRa Cucina” e infine, quello che interessa a noi “Il viaggio del prigioniero”; tutti progetti che dicono speranza, futuro, vita migliore, comunione…

Ma andiamo nello specifico della nostra formazione, un momento di vera crescita e arricchimento, tematiche che per chi prega quotidianamente sembrano essere scontate ma che in realtà non è così. Francesco attraverso questo corso ci ha fatto capire che ci siamo dimenticati della semplicità quando leggiamo la Bibbia e parliamo del Signore, ci ha ricordato che Dio non ha bisogno di grandi discorsi teologici ma di parole umili. La semplicità è la ragione per la quale Steven James, ex detenuto inventore del progetto, ha scelto il Vangelo di Marco per questo percorso che fa conoscere Gesù, il prigioniero.

Il percorso che è standard in tutti i paesi, cioè si fa così e basta perché quando una cosa funziona così com’è non va cambiata, è strutturato così: una fase promozionale per presentare ciò che siamo andati a fare: far conoscere una persona veramente esistita e che fa parte di noi, Gesù, saranno poi loro a scegliere di partecipare liberamente, così come saranno eventualmente loro a chiederci di pregare assieme infatti noi non abbiamo il compito di pregare o cantare; un corso di 8 sessioni dove noi siamo chiamati a portare la buona novella e alla fine del corso i detenuti riceveranno la laurea come segno del loro impegno; e infine il programma di discepolato che favorisce ai prigionieri la reintegrazione nella società. Sentire che grazie al viaggio del prigioniero molti detenuti hanno cambiato la prospettiva della loro vita e si sono avvicinati a Dio, è stata una delle cose più belle ed emozionanti, hanno acceso la speranza che anche noi possiamo andare da loro e lasciare un segno che possa servire per la loro vita. Sicuramente non sarà una passeggiata ma se noi rispettiamo il nostro ruolo di servitori e seguiamo tutti i passi contenuti nel “Manuale delle guide” senza quindi voler strafare, Dio farà la Sua parte, la più difficile e anche la meno probabile, far conoscere se stesso.
Le tematiche del corso sono tre:
1. portare il Vangelo in carcere? Ossia portare la buona novella;
2. Il nostro ruolo e il ruolo di Dio;
3. Chi? Perché? E quindi? Corrispondono esattamente a Identità, missione e chiamata. Tra di loro c’è una relazione reciproca e quindi l’una non esclude l’altra.

Attraverso il vangelo di Marco abbiamo risposto a queste tre domande: Chi è Gesù? Il Figlio e il Santo di Dio; Perché è venuto? Per la nostra salvezza; Cosa mi chiama a fare? Abbandonare l’uomo vecchio e aprirsi all’amore del Signore. Solo se noi in primis crediamo a tutto ciò e viviamo praticando il Vangelo allora potremmo essere autentici testimoni della fede come speranza di una vita migliore, di un futuro che si apre alla salvezza che è Gesù.

Valentina e Mariagrazia Nigro

Formazione de “Il viaggio del prigioniero” a Nuoro

Formazione de “Il viaggio del prigioniero” a Nuoro

Il 12 febbraio, a Nuoro, 26 volontari provenienti da tutta la Sardegna, si sono incontrati per imparare un nuovo modo di servire, diventando facilitatori de “il Viaggio del Prigioniero. Da oggi , il progetto, già avviato nella casa circondariale di Isili, potrà essere portato anche nelle carceri di tutta l’Isola.

Un momento intenso di preghiera ha preceduto le attività condotte dai due formatori Francesco e Maria Pia. Le lodi hanno invaso non soltanto la stanza ma anche i cuori dei presenti che sono stati un sol corpo e un’anima sola. Tutti hanno vissuto molto di più di una semplice emozione o esperienza ma un vero invito a restare sempre uniti nello Spirito per fare entrare Gesù nelle carceri di tutta la Sardegna.

Le attività di formazione, condotte in maniera semplice ed efficace, sono state seguite con estremo interesse e la partecipazione attiva è stata elevata. Una simulazione ha permesso di sciogliere il timore e chiarire numerosi dubbi.

Al termine delle attività, la gioia traboccava in tutti ma di certo era solo l’inizio di un’emozione che “Il Viaggio del prigioniero” rende ancora più grande. Infatti, i due facilitatori del carcere di Isili, Annamaria e Andrea, hanno raccontato che si tratta di un Viaggio meraviglioso, e il loro entusiasmo, il loro sguardo e il loro sorriso ne sono stati testimoni!

Simona Atzori

Dal gioco d’azzardo al progetto Sicomoro

Dal gioco d’azzardo al progetto Sicomoro

Sono Michele, ho 54 anni e sono nato a Palermo, città che amo e che mio malgrado decisi di abbandonare nel luglio del 2009 per trasferirmi a Torino, alla ricerca di quella “nuova vita”, che mi permettesse di lasciare alle spalle tutti quegli stupidi ma gravi errori commessi sino ad allora.

Nel settembre del 2016 giungeva inesorabilmente il conto che la giustizia mi chiedeva di pagare per i reati di truffa commessi negli anni 2007 e 2008, periodo che mi vedeva impiegato al Comune di Palermo con la qualifica di vigile urbano prima e geometra dopo. Venivo recluso alle Vallette di Torino per scontare una condanna a 7 anni.

Oramai da tempo quel maledettissimo vizio che prende il nome di “gioco d’azzardo”, aveva portato nella mia vita rovina e distruzione. Però non mi aveva abbattuto, mi rimaneva la cosa più preziosa che avevo: la mia famiglia. Mia moglie Roberta, i miei figli Francesco Emmanuele e Serena, le prime vittime dei miei errori, che stanno ancora pagando, nei sentimenti, nelle ristrettezze, nei sacrifici. Non mi hanno mai abbandonato, mai voltato le spalle nonostante le delusioni, le amarezze, le mortificazioni. Hanno anteposto l’amore e la ragione ai sentimenti di rabbia e di vendetta.

Perché se è vero che da quel settembre 2016, ho conosciuto quanto buio contiene il carcere ed il vivere in esso, oggi ho la gioia di dire che mi ha fatto ritrovare quella luce che da tempo non vedevo così luminosa e raggiante.

Ho iniziato a studiare seriamente, iscrivendomi al Polo Universitario alla facoltà di Scienze Politiche che si trova all’interno dell’istituto, e con altrettanto impegno ho iniziato a studiare me stesso che ritengo aver perso chissà quando e chissà dove, anni e anni addietro.

Sin dal primo momento, mi sono aggrappato alla fede, perché la ritenevo fondamentale per andare avanti, per guarire in primis e per trovare la forza giusta alla mia situazione piena di spine e di problematiche. Oggi sono in grado di affermare che ho ritrovato me stesso grazie alla mia famiglia e a Dio, che non mi ha mai lasciato da solo e ha protetto i miei cari in ogni momento di difficoltà. Lui mi ha fatto fare un percorso in istituto che mi ha portato a crescere, capire, maturare. Probabilmente non avrei mai capito tante cose se non avessi messo piede in carcere. Qualcuno mi darà del pazzo, per me invece rappresenta, verità pura ed onestà.

Un giorno qualsiasi di un mese qualsiasi, venne a trovarci nei locali del Polo Universitario la Dottoressa responsabile dell’area trattamentale, accompagnata da tre persone che prima di allora non avevo mai visto. Ci presentarono un progetto dal nome Sicomoro sulla Giustizia Riparativa che prevedeva una serie di incontri tra vittime di reato e responsabili di atti criminali, che avesse il fine di avvicinare le parti coinvolte. Con la speranza di arrivare al termine del percorso alla concessione e ottenimento del perdono.

Saltai il primo incontro che corrispondeva al primo permesso premio che mi era stato concesso. Ma non il secondo, in cui mi presentai già fortemente emozionato per quanto i miei 5 compagni, che vi avevano già partecipato, mi avevano trasmesso.

Nel marzo 2019, in un’aula scolastica dell’Istituto, al piano terra del blocco E, iniziava per me un progetto che mi portava a conoscere persone vittime di reati di vario genere. Si poteva leggere sui loro volti i segni e le scritte del dolore, della rabbia, per quanto subito e anche per la perdita dei propri cari. Il modo e l’atteggiamento che il dolore loro provocava, rannicchiava noi detenuti. Non è semplice spiegare cosa avviene e cosa riesci a provare in una situazione così, ma è facile ammettere con tutte le forze, che da quel momento in avanti, ad ogni incontro che si succedeva, veniva ad instaurarsi un rapporto quasi alla pari, che faceva persino dimenticare, chi fossero le vittime e chi i detenuti.

Terminato il primo incontro, andai nella mia stanza ed iniziai a piangere come un bambino. FINALMENTE! Portavo a completamento della ricerca di me stesso, un sentimento che negli anni precedenti la carcerazione, avevo smarrito: il dolore.

Dovetti attendere un’altra lunga settimana, fatta di lunghi sette giorni prima che si ripetesse l’incontro e invece avrei desiderato e voluto che ogni giorno potessi rifare l’esperienza e la gioia di rincontrare quelle persone prive di ogni maschera e che meritavano solo ed esclusivamente rispetto.

Gli incontri si ripetevano puntualmente e ciò che costantemente cresceva, era il senso di fratellanza, di amicizia, che abbatteva quei muri e che personalmente mi consegnavano serenità, fiducia, speranza, ottimismo, valori. Quando il progetto giunse al termine degli incontri previsti, ci si sentì un poco sbandati, pensavo che da quel momento tutto sarebbe tornato come prima. Personalmente invece il risultato fu l’esatto opposto, perché avevo trovato una parte di me stesso, latente per anni, che completava un puzzle rigenerante.

Gioivo e soffrivo, ridevo e piangevo, perché tra gli anni di carcerazione fatti e l’esperienza forte ed incisiva del Sicomoro, riuscivo a svegliarmi il mattino e andavo a letto la sera senza il peso del finto, del falso, del codardo. Il “miracolo” è avvenuto e mi ha dato ciò che non avevo capito di aver perso nella ragione, nella razionalità, nell’equilibrio.

Mi ha indirizzato al Progetto Sicomoro. Mi ha dato l’onore di conoscere quelle persone, che ad ogni incontro mi donavano, nonostante tutto, un saluto vero, un abbraccio forte, un sorriso rincuorante. Hanno saputo riconsegnarmi quelle medicine giuste di cui il mio vivere quotidiano, aveva bisogno.

Ringrazio tutti gli amici del Sicomoro, per avermi preso per mano. A tutti loro nessuno escluso, mi permetto di dire grazie, con onesto sentimento di fratellanza e perdono.

Michele Romano

Il progetto Sicomoro finisce qui!

Il progetto Sicomoro finisce qui!

Siamo entrati da 15 minuti e siamo ancora da soli in quella stanza.

Ecco che la porta si apre ed entrano Tina e Gianna. Un saluto evasivo come evasiva è la spiegazione sull’assenza delle altre. Con un rapido cenno d’assenso di Arcangelo e Caterina decidiamo di cominciare. Non faccio in tempo a porgere i saluti che Tina chiede di parlare: “Le altre non verranno ed anche noi due usciremo subito. Siamo venute solo per dirvi che l’altra volta ci siamo sentite attaccate e giudicate. Nella nostra vita siamo state aggredite molte volte e per le nostre colpe siamo già state giudicate e condannate. Adesso basta! Se dobbiamo venire qui per subire ancora, meglio stare nelle nostre celle. NO, grazie. Adesso ce ne andiamo anche noi”. Parte decisa verso l’uscita. Per fortuna quel giorno mi ero piazzato proprio accanto alla porta e quasi fisicamente le impedisco di attraversarla chiedendole contemporaneamente di aspettare almeno il tempo di alcune spiegazioni. Visibilmente a malavoglia si piazza in piedi al centro della stanza e i suoi occhi dicono chiaramente: sbrigati così possiamo andarcene. Ripercorro velocemente i principi base del sicomoro, soffermandomi in particolare sul rispetto e sulla mancanza di pregiudizi. Parole al vento proprio perché erano solo parole. Si insinua Caterina testimoniando tutto quello che il sicomoro le aveva e le stava donando e come avesse cambiato la sua vita.

La realtà sostituisce la teoria e infatti Tina torna a sedersi. Intervengono anche Anna, Aurora e Michela e l’atmosfera ritorna serena. E’ il turno di Mimma. Probabilmente erano stati i suoi interventi nel primo incontro a scatenare questo pandemonio. Avevamo tutti intuito che il racconto di Giorgia era perlomeno lacunoso e parziale, ma Mimma era andata giù pesante cercando di abbattere a spallate il muro che Giorgia aveva eretto. Nel sicomoro di un anno fa era avvenuta la stessa contesa, ma dall’altra parte c’era un uomo e il tutto si era trasformato in una disputa durata 3-4 incontri finchè i due si erano definitivamente spiegati e capiti. Adesso Mimma chiarisce i suoi dubbi e le sue motivazioni e Tina accetta.

L’incontro termina regolarmente e Tina promette che tornerà e farà ritornare anche tutte le altre. Infatti sarà così.
Non a caso ho detto che l’altra volta c’era un uomo. Vi sto infatti parlando del progetto svoltosi tra novembre e dicembre scorsi nel reparto femminile di Torino. Il primo in Italia. Noi eravamo partiti usando lo schema classico, ma già le testimonianze del primo giorno, per non parlare dello scontro appena narrato, ci hanno letteralmente catapultato in una realtà completamente diversa. Qui ci sono donne: mogli, madri, figlie, compagne. E tutto cambia.

Cambiano le motivazioni: non più concetti come l’onore, il successo, la posizione sociale, il tenore di vita, il predominio, ma la quotidianità, i figli da mantenere ed educare, il decoro e la dignità, il rispetto e la considerazione.
Cambiano gli obiettivi: non più la conquista del potere, il riconoscimento della superiorità, la vita spensierata, ma la sicurezza personale, la tranquillità familiare, il mantenimento e l’educazione dei figli, il riconoscimento della persona e delle sue aspettative.
Cambiano i metodi: non più l’uso della violenza e degli strumenti per affermarla (una volta uno ci disse “le mani o il ferro”), la conquista del territorio, lo sfruttamento ad uso personale delle persone, delle leggi, ma l’uso delle proprie capacità per sopravvivere e far sopravvivere le persone delle quali si sentono responsabili.

Il quadro che si delineava attorno ad ogni testimonianza era sempre lo stesso: dietro a tutti i reati c’era sempre la figura di un uomo: un marito che picchiava, un padre che le costringeva a rubare, un familiare che abusava, un compagno che costringeva a spacciare. E quando quest’uomo non c’era era proprio la sua mancanza a spingerle: il marito che spariva lasciando moglie e figli, il padre che le obbligava al matrimonio per denaro, il compagno che le abbandonava sul marciapiede.

Sì, non tutte, c’era anche quella che lo faceva per divertimento, per la compagnia, per ambizione.
Tutto questo ha portato ad un ribaltamento dei rapporti all’interno della stanza del sicomoro. Detenute e vittime, quasi tutte donne, sono entrate subito in sintonia. Gli argomenti, le motivazioni, gli ambienti, le cause, i desideri, erano gli stessi. Naturalmente erano diverse le soluzioni alle quali le une e le altre erano ricorse, ma proprio queste differenze erano fonte di discussione e di confronto. Quando una raccontava la causa del suo errore c’era sempre un’altra che spiegava come lei era riuscita a superare quella difficoltà rimanendo nella legalità. Allora si interrogavano, si spiegavano, si accettavano, si capivano, si volevano bene. Sì, ad un certo punto il problema di una diventava il problema di tutte, il successo di una si trasformava nella futura vittoria di tutte, la possibilità di una si convertiva in speranza per tutte
Io ed Arcangelo eravamo felici spettatori di tutto questo anche perché, bontà loro, ci era permesso di intrufolarci con qualche consiglio e con la possibilità di indirizzare correttamente il progetto.
Ogni intervento, ogni replica, ogni abbraccio, ogni carezza, ogni lacrima, contribuivano ad avvicinare, a collegare, a chiudere quella frattura che il reato apre tra le due parti: colpevole e vittima. Questo è il fine principale del progetto sicomoro e questo avveniva ad ogni incontro.

Pierpaolo Trevisan

Che grande gioia!

Che grande gioia!

C’è una grande gioia che un papà e una mamma vivono quando vedono nascere un figlio: questa è la gioia di chi vive esperienze di servizio, missione ed evangelizzazione!

Ogni volta che entriamo in carcere a trovare detenuti,  incrociando i loro occhi scrutiamo con tenerezza, affetto e delicatezza la loro situazione, consapevoli che la limitazione della libertà è una grande e prolungata sofferenza.

Vedere poi questi stessi occhi inondarsi di lacrime o accendersi di luce nuova grazie a momenti di condivisione, fraternità, convivialità è causa di gioia per tutti coloro che entrano nel carcere per annunciare il vangelo, l’amore e il perdono di Dio, mettendosi all’ascolto di coloro che vivono in regime di detenzione.

Per vivere questa gioia, è possibile prepararsi anche con la partecipazione ai corsi di formazione organizzati da Prison Fellowship Italia per tutti i volontari che desiderano mettersi al servizio dei fratelli di Gesù che vivono in carcere. Sì, partecipare al corso formativo per il nuovo progetto “Viaggio del prigioniero-VDP” è stata esperienza simile ai corsi preparto.

Con sapienza e simpatia, nell’oratorio della parrocchia san Maiolo a Novara, Francesco Di Turo ha illustrato a 35 fratelli e sorelle, provenienti da varie parti del Piemonte e Valle d’Aosta, la metodologia, l’organizzazione, lo sviluppo e la conduzione del corso VDP. Secondo tale progetto, in 8 incontri si aiutano i detenuti a trovare nuova luce e speranza attraverso un percorso interiore scandito dalla conoscenza della persona di Gesù tramite il vangelo di Marco. Scoprendo l’identità di Gesù, la sua missione e le esigenze ed implicazioni della sua chiamata per ogni essere umano, i volontari ed i detenuti vivono insieme un viaggio che li conduce anche ad una più profonda scoperta di se stessi, della propria più autentica umanità ed identità, commisurata all’umanità di Gesù e risanata dalla Sua divinità.

Al termine del corso, vissuto nella mattinata del 4 febbraio, i presenti hanno anche avuto la consolazione di ascoltare Antonella Borgarello, che un paio di giorni prima aveva concluso la conduzione di questo corso nel carcere torinese delle Vallette. La sua testimonianza è stata appassionata ed entusiasmante ed ha lasciato in molti dei presenti il desiderio di vivere questo servizio a beneficio dei detenuti.

Ringraziamo Dio per la presenza e partecipazione attiva di tante persone, tra cui anche molti giovanissimi. Ringraziamo Francesco che ci ha donato la conoscenza di questo progetto, trasmettendoci anche la sua passione per questa tipologia di servizio all’uomo. Ringraziamo anche don Silvio Barbaglia,  parroco della parrocchia novarese che ci ha accolto, favorendo ed incoraggiando anche la partecipazione di un gruppetto di parrocchiani.

Dio benedica tutti noi, confermandoci nel desiderio di servirlo  in tutti coloro che soffrono.

Giuseppe Casadei

Buon Natale di Gesù

Buon Natale di Gesù

Mentre ci avviciniamo al Natale, desidero solo prendermi un momento per ringraziarvi per la vostra generosità quest’anno, che è stato difficile per molti. Anche le nostre attività ne hanno risentito.

L’economia globale ha sofferto a causa della svalutazione del denaro, della crisi energetica, dei disastri naturali, della carestia e dell’inflazione.
Ma Dio è stato fedele e ha portato a compimento la Sua buona opera!

Quest’anno avete condiviso il Vangelo con decine e decine di uomini e donne in carcere con il Progetto Sicomoro, dando loro accesso al programma Il viaggio del prigioniero e servendo pranzi gourmet.

Mentre celebriamo la nascita del nostro Salvatore, unisciti a noi nella preghiera per coloro che celebreranno il loro primo Natale con ritrovata fede in Gesù grazie al tuo sostegno.

Possa il tuo Natale essere pieno della pace di Dio.

Buon Natale di Gesù!

Un pranzo d’amore e tanto ALTrO!

Un pranzo d’amore e tanto ALTrO!

La Casa Circondariale di Palmi “F. Salsone” è stata teatro, nella data odierna, di una bellissima iniziativa, abbracciando il progetto di Prison Fellowship Italia “L’ALTrA cucina…per un pranzo d’amore”.

Il progetto ha coinvolto 21 strutture penitenziarie in tutta Italia, all’interno delle quali gli ospiti hanno avuto la possibilità di vivere l’esperienza di un pranzo di Natale speciale, preparato da 25 chef stellati, con la collaborazione di associazioni e di volontari.

La giornata di oggi è stata possibile grazie alla sensibilità dimostrata da vari sponsor, dallo Chef stella Michelin Nino Rossi e dal pasticcere Rocco Scutellà. Hanno partecipato: il direttore sportivo della Reggina Calcio Massimo Taibi, la Dott.ssa Cinzia Barillà, Magistrato di Sorveglianza di Reggio Calabria, la Dott.ssa Daniela Tortorella, Presidente del Tribunale di Sorveglianza, l’Avvovato Luca Muglia, Garante regionale dei detenuti, l’Associazione ‘Mbuttaturi della Varia di Palmi. Molto significativo e sentito l’intervento del direttore Mario Antonio Galati.

Il tutto è stato allietato dalle note musicali del duo Un quintale di Swing, costituito da Salvatore Saffioti e Rocco Cannizzaro, con la partecipazione fuori programma di un ospite dell’Istituto che ha regalato momenti di divertimento, ma anche di riflessione su tematiche importanti, quali le difficili condizioni di vita dei detenuti, le innumerevoli privazioni.

Tali innumerevoli privazioni, durante le festività, risultano certamente amplificate per chi vive senza affetti, che restano fuori da queste mura. Se è vero che “anche se ha commesso un grave errore, un uomo non è necessariamente perduto per sempre”, iniziative come questa possono offrire una nuova prospettiva, una speranza… Perché ciascuno di noi è molto di più di ciò che è stato e di ciò che ha fatto ma, soprattutto, è anche di meno rispetto a ciò che potrà essere e che potrà fare.

Che sia, per tutti, un Natale libero nel cuore.

 

Palmi, 20-12-2022

 

Flavia Tedesco